lunedì 21 marzo 2011

La beffa delle scorie | Intervista ad Andrea Poggio vicedirettore nazionale di Legambiente


di Roberto Farneti
Liberazione 20/03/2011

Soldi pubblici buttati via. Per comprendere l'inconsistenza del sogno nucleare italiano, oggi riproposto dal governo Berlusconi, basta andare a guardare come è stato gestito il problema dello smaltimento delle scorie in questi anni. Ne sono passati più di venti, dal referendum che portò alla chiusura delle centrali in Italia. Da allora lo Stato ha speso miliardi, ma i bidoni contenenti i residui radioattivi sono più o meno ancora lì, dove sono stati prodotti. Un po' perchè non sanno dove metterli. Ma, soprattutto, perché una soluzione definitiva per risolvere questo problema ancora non c'è e nessuno sa se e quando potrà essere trovata.

Nel frattempo, gli italiani sono ancora alle prese con "l'eredità radioattiva del vecchio programma atomico", descritta in un dossier pubblicato nel novembre scorso da Legambiente. Andrea Poggio, vicedirettore dell'associazione, sottolinea le responsabilità della Sogin, l'azienda pubblica, controllata al 100% dal ministero dell'Economia, incaricata di smantellare le centrali e di provvedere al trattamento e allo stoccaggio delle scorie. «L'unica cosa che sostanzialmente ha fatto in questi anni - denuncia Poggio - è stato prendere tempo, in attesa di un ritorno del nucleare».

Un "dolce far niente" costato miliardi di soldi pubblici. «Il referendum antinucleare - ricorda il dirigente di Legambiente - è datato 1987. Visto l'esito, il governo decide l'arresto delle centrali nucleari in funzione, a partire dalla più grossa, quella di Caorso, e l'avvio della dismissione di tutti i siti. Per l'interruzione e la riconversione della centrale di Montalto di Castro, l'Enel ottiene un risarcimento dallo Stato italiano pari a oltre 5 miliardi di euro. A questa spesa - prosegue Poggio - si sommano i 400 milioni di euro che ogni anno famiglie e imprese versano alla Sogin, tramite la bolletta elettrica nazionale, proprio per finanziare lo smantellamento definitivo delle centrali e la bonifica di quelle aree».

La Sogin però si difende. Dice che ci vorrebbe un deposito nazionale delle scorie, ma che il governo non ha ancora nemmeno individuato l'area dove costruirlo. Anche perché quando è stato proposto di farlo in Basilicata, a Scanzano Jonico, è scoppiata una rivolta.

Sono due i metodi utilizzati dalla Sogin per fare melina in questi anni, approfittando dei soldi delle nostre bollette. Uno è stato quello di svolgere in maniera approssimativa le analisi per l'individuazione dei siti da destinare al trattamento e allo stoccaggio delle scorie. Per cui è stato gioco facile per Regioni, associazioni ambientaliste e cittadini presentare ricorsi fondati con cui sono state bloccate le scelte più assurde e pericolose. L'altro è stato la ricerca di pretesti per non chiudere alcun sito nucleare. Figurarsi che a Caorso hanno aperto una scuola di formazione, organizzata dalla Sogin stessa e dall'Enel, tanto per mantenere in piedi l'impianto nella speranza un giorno di poterlo riaprire.

In un recente convegno a Roma, Claudio Pescatore, responsabile per la gestione dei rifiuti radioattivi dell'Agenzia dell'Energia Nucleare dell'Ocse ha sostenuto che «la maggior parte dei Paesi Ocse ha già individuato soluzioni sicure» per i rifiuti radioattivi. E' così?

Questo forse vale per i rifiuti a bassa radioattività, ad esempio quelli ospedalieri. Lo stoccaggio definitivo delle scorie è un problema irrisolto in tutto il mondo.

Secondo Pescatore, i residui che esauriscono la propria attività nel lungo termine possono essere stocccati in depositi geologici sicuri

Mi piacerebbe sapere da questo signore quale Stato democratico abbia già individuato un deposito di scorie definitivo. Mi risulta che la Germania stia utilizzando provvisoriamente, per un tempo di vent'anni, vecchie miniere di sale. Si tratta in ogni caso, come negli Stati Uniti, di sistemi di stoccaggi transitori.

In un rapporto Onu del 2005 si legge che «la costa della Somalia è stata usata per anni come una grande discarica da altri Paesi che dovevano sbarazzarsi di scorie tossiche, radioattive o nucleari», approfittando della guerra civile che, dal 1991, ha messo in ginocchio il Paese africano.

E' inquietante pensare che in questi anni navi dei veleni partite dall'Italia siano approdate sulle coste somale stoccando abusivamente i rifiuti in quel paese, malgrado ci sia una impresa di Stato incaricata di gestire questo problema. Se nonostante tutti i soldi pubblici che spendiamo non riusciamo a evitare che la mafia si impadronisca di questo business, c'è davvero di che essere preoccupati per il futuro nucleare dell'Italia.

Source: LINK - FOTO

sabato 5 marzo 2011

TG da paura

LINK

"Salve a tutti, mi stavo domandando se anche a voi il telegiornale e in generale tutte le trasmissioni che si occupano di cronaca nera, grigia e tutti gli altri colori sfigati, produce un effetto d'ansia come quello da cui mi sento eprvadere io!!!". Così scrive "Mandarino" su un forum di discussione dedicato all'ansia. Gli risponde l'utente "Diverso": "A me è già un po' di tempo che il telegiornale dà fastidio... tanto fastidio. I telegiornali ti impallano il cervello... sangue, morte, sangue, morte... poi spiaggia e tintarella e mode... sangu, morte, sangue... e calendari, saldi, tette rifatte". Esagerati questi commenti su internet? Stando alla radiografia dell'Osservatorio di Pavia con Demos & PI sulla rappresentazione mediatica della sicurezza, hanno ragione. I presunti organi di informazione televisiva nazionale italiana primeggiano a livello europeo nel dolore-show alternato a superficialità guardona. Horror mixato al gossip. Questo il cocktail servito quotidianamente dai principlali Tg nazionali in prima serata, compresi quelli pagati coi soldi dei cittadini.

PASSIONE CRIMINALE E PETTEGOLA
Dopo un certo affievolimento, il fenomeno è ripreso violentemente. Un dato su tutti: in soli 4 mesi sono stati capaci di ammorbare e molestare la cena del pubblico sparando ben 867 notizie sulla povera Sarah Scazzi, la ragazzina di Avetrana, nei Tg di prima serata. Il caso della scomparsa della piccola Yara Gambirasio in 35 giorni, è stato strillato dai Tg di punta ben 317 volte. Il Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, l'uomo più potente del mondo, nell'intero 2010 ha avuto 1.602 notizie sulle edizioni principali dei 7 Tg nazionali, rileva la società di analisi sui media Vidierre. Gli stessi Tg hanno dato 5.170 notizie di criminalità tra gennaio e dicembre 2010. Ripiombando così nel tunnel morboso del 2007, quando il caso Cogne (al quale nel 2002 furono dedicate 2.032 notizie) e l'omicidio della signora Reggiani fecero schizzare questo tipo di informazioni ad un totale di 5.827, sempre in prima serata su Rai e Mediaset. A tanto veleno vengono sempre più affiancate "notizie" di costume e società. E il passo dal cronista al tronista è breve: al top della telesuperficialità c'è Studio Aperto, dove una su 5 riguarda la cronaca "soft", cucina, vip e altre amenità. Seguono sul podio della vacuità il Tg4 e il Tg Uno.

PERCHE' COSI' LONTANI DALLA VITA E DALLE COSE SERIE?
Questo mondo sbirciato dalla serratura che crea emergenze a suon di delitti-reality è lontano dalla realtà, dalle vere priorità delle persone e da ciò che ritengono importante: disoccupazione, situazione economica, costo della vita e sanità sono i temi più a cuore della gente. Per il 65% degli italiani - rileva inoltre l'indagine dell'Osservatorio europeo sulla sicurezza - tra le cose da affrontare con urgenza al primo posto ci sono i temi economici, e solo il 5% vede la criminalità come emergenza. E, se proprio si vuol stare sulle paure, quelle che più hanno addosso gli italiani riguardano nell'ordine la distruzione dell'ambiente, il futuro dei figli, la criminalità organizzata (non quella minuta e da thriller che sparano i Tg), la sicurezza dei cibi, il lavoro e la salute. 6 su10 chiedono risposte sul lavoro e crisi, l'indice delle paure legate alla criminalità è sceso dal 43% del 2007 all'attuale 33% e questi gli rifilano stupri, violenze, ricette, sfilate e pettegolezzi! Oppure politici che parlano senza farsi capire. Studio Aperto, Tg5 e Tg Uno mettono i fatti criminali al primo posto nell'ultimo quadrimestre 2010. 12 notizie su 100 al Tg Uno - pagato coi soldi dei cittadini - sono "criminali" e circa 13 di "costume e società". Cioè una notizia su 4 è distante dalla vita della gente, con l'avvilente primato internazionale: tra i notiziari dei servizi pubblici di Italia, Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna analizzati dall'Osservatorio di Pavia, il Tg Uno è quello più appassionato di cronaca nera e delitti: nel 2010 ha dedicato oltre 1.000 notizie a queste tragedie in prima serata, il doppio rispetto al Tg pubblico spagnolo, 3 volte tanto quello inglese, 4 volte in più di quello francese e 18 volte rispetto al Tg pubblico tedesco. Imbattibile però è Italia Uno: a Studio Aperto da settembre a dicembre scorsi quasi un titolo su 3 era di criminalità.

CARO GIORNALISTA, MERITI DI PIU'
Ma davvero chi lavora nei Tg vuole questo? Anni e anni a sgobbare, o sgomitare, per finire a strillare titoli da film dell'horror, a lanciare "sceneggiature" tra il fotoromanzo e il reality show? O fare il presentatore di ricette culinarie, scovare corna, bambolotte siliconate a caccia di pruriti telecomandati. Chi fa questo mestiere merita di occuparsi di cose normali e serie e chi guarda il Tg merita notizie normali, cioè attinenti alla sua vita, che parlino del mondo, delle cose che contano.
Non si tratta di dire tutti i giorni che 24 mila bimbi quotidianamente muoiono di fame, ma almeno di non disturbare quelli dell'opulento Bel Paese e di raccontare ai loro genitori fatti, persone, storie per la vita. Sì dice che la stampa funziona se punta sulle tre "S": sesso, soldi, sangue. Gli italiani hanno un alfabeto molto più ampio e una grammatica molto più bella e normale.

MA QUALE CRIMINE?
Quanti Tg hanno detto che i dati sulle emissioni inquinanti dell'inceneritore di Colleferro(nel Lazio) venivano truccati isstematicamente via internet?

Sui reati ovviamente occorre informare. E qui c'è un grosso inganno: i delitti di sangue - per quanto dolorosi e nocivi - coprono altri reati e comportamenti ben più dannosi. Avetrana, Erika e Omar, Sarah, Cogne e Franzoni, Garlasco, Gravina di Puglia, il "piccolo Tommy", Amanda e Meredith, Unabomber, Elisa Claps... a tutti dicono qualcosa, sono di casa. Ma altri nomi di personaggi accusati e magari condannati per reati anche molto gravi sono degli illustri sconosciuti. Perché non c'è la stessa attenzione mediatica su mafie e reti politico-affaristiche che stanno dissanguando il Paese? Basti pensare alla cricca degli appalti truccati: quella piovra pagata dai cittadini che, ad esempio, ha messo le mani sui cantieri per costruire la scuola dei Marescialli dei Carabinieri a Firenze e su uffici delle massime istituzioni e persino dei servizi segreti. E gli sprechi e gli intrighi delal casta che depaupera la sanità di tutti, toglie l'acqua dal controllo pubblico e non è capace di garantire strade sicure? La Guardia di Finanza informa che l'aumento delle denunce per fatti di corruzione e concussione accertati nel 2009 ha raggiunto, rispettivamente, il 229% e il 153% rispetto all'anno precedente. Quanti Tg hanno detto che i dati sulle emissioni inquinanti dell'inceneritore di Colleferro (nel Lazio) venivano truccati sistematicamente via internet? 7 italiani su 10, rileva il Rapporto dell'Osservatorio di Pavia, nel 2010 sentono molto più grave la criminalità organizzata (mafia, 'ndrangheta, camorra et similia) e avvertono meno pericolo nei crimini non mafiosi e simili. Crea più insicurezza e danni economici, ambientali e sociali non fare la raccolta differenziata che una rapina e le tanti frodi in giacca e cravatta. Ma non si dice in tv.

Francesco Buda

sabato 29 gennaio 2011

Egitto, sfida al regime

Da "Il Corriere della Sera" di sabato 29 gennaio 2011

Egitto, sfida al regime
Il raìs: resto al potere

Migliaia di persone in piazza 5 morti al Cairo, 13 a Suez
Mubarak «dimette» il governo

DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO - Notiziario delle ore 14, radio del regime: Ahmed Abu al Gheit, ministro degli Esteri, è in visita ad Addis Abeba; il Libano ha un nuovo governo; in Tunisia le proteste continuano. In strada la prima carica colpisce con un tiro di rimbalzo, un'ora dopo mezzogiorno, alla fine delle preghiere. Il bussolotto schizza contro la volta del cavalcavia e rotola in mezzo alla gente. Il fumo aspro si mischia all'odore delle cipolle che tutti tengono sotto al naso, fermano le lacrime con lacrime meno amare e sono pure la pianta nazionale, stavano disegnate sulle tombe ai tempi dei faraoni.
Il corteo preme verso piazza Giza. È lì, nella grande moschea del quartiere popolare, che ha pregato Mohammed El Baradei. E lì che il Nobel per la pace si rifugia, quando la polizia cerca di arrestarlo. È tornato per «stare a fianco del popolo» - dice - e come il popolo resta infradiciato da un getto sparato dalla torretta di un blindato. I manifestanti provano a proteggerlo, non lo mollano, a strattoni viene portato dentro al tempio.
Gli agenti preparano l'assedio, i lacrimogeni questa volta servono a bloccare, uno sbarramento di nebbia e asfissia. L'ex direttore dell`Agenzia atomica dell'Onu è l'uomo che vorrebbe garantire la transizione, ha invocato la caduta di Hosni Mubarak, va fermato subito. O almeno immobilizzato. Lo lasciano tornare a casa e la polizia lo informa: non può andare in giro libero. Arresti domiciliari.
I ponti del Cairo sono bloccati. I plotoni anti-sommossa stanno tra i rivoltosi e il cuore della città, l'obiettivo è piazza Tahrir, la Liberazione, e i palazzi simbolo dello Stato. In mezzo cola il Nilo, qualche battello per turisti resiste al vento che porta le esalazioni degli scontri. Da Giza verso il centro, dalla parte occidentale verso quella orientale, bisogna camminare sotto i viadotti svuotati dal traffico caotico, tunnel dove restano le pietre delle prime battaglie.
Dai balconi le donne urlano «smettetela, fermatevi», quando gli sbirri caricano, abbassando gli scudi e alzando i bastoni. In strada, la gente urla «andatevene», il presidente e il figlio Gamal uniti nell'avversione da quel plurale. Il benzinaio lava via il carburante, implora di non fumare lì vicino.Un ragazzo incappucciato gli ruba l'estintore, l'immondizia in fiamme sta soffocando l'avanguardia della manifestazione.
Al mattino la città era deserta, silenziosa come i cellulari zittiti dal governo. Niente telefonate, sms o Internet, la censura serve a fermare le comunicazioni tra i rivoltosi.Che hanno usato il microblog Twitter per coordinare la protesta. Uno degli ultimi messaggi rivendica la rivolta: «Non lasciate che venga attribuita agli islamici». Al governo non basta: all'alba una retata porta via attivisti dei Fratelli Musulmani, anche se il movimento è rimasto ai margini delle manifestazioni.
Il black out era previsto nelle 26 pagine di un manuale per la guerriglia urbana circolato al Cairo. Foto aeree con gli obiettivi da conquistare cerchiati di rosso (primo fra tutti il palazzo di Mubarak e i suoi trent'anni di potere), consigli su come affrontare le forze di sicurezza: meglio evitare lo scontro diretto perché gli agenti vanno convinti a passare dall'altra parte. «Il popolo e la polizia assieme contro l'ingiustizia. Viva l`Egitto», è uno degli slogan suggeriti.
Le stradine del Vecchio Cairo permettono di aggirare i posti di blocco. Agenti in borghese impugnano i bastoni sradicati dalle aiuole, i vecchi giocano a domino, i giovani si raggruppano e preparano le mosse della loro partita con la polizia. Dai viali principali, rimbombano gli scoppi delle granate assordanti, è su quelle strade che la folla prova a sfondare per raggiungere il centro.
Il giorno della rabbia sorge anche nel resto del Paese. Ad Alessandria, i fedeli lasciano le moschee urlando «svegliatevi figli della nazione». Figli e fratelli: una battaglia nelle vie della città si esaurisce con i dimostranti che abbracciano i poliziotti, scambiano solidarietà e bottiglie d`acqua. A Suez, la manifestazione diventa un funerale, la folla solleva un cadavere, mentre un uomo strilla «hanno ucciso mio fratello» (i caduti nella città portuale sarebbero 13). Un'altra vittima è tra i beduini del Sinai. Nella capitale, i morti sono cinque, i feriti 870, gli arrestati 400.
I due leoni di pietra custodiscono l`accesso al ponte di Qasr el-Nil dal 1872. La fila di uniformi blu sta dietro un blindato, dalla torretta sputano gli idranti. Si sono fronteggiati per ore sull'isolotto di Gezira: passato questo cordone, la via è libera verso piazza Tahrir. Al tramonto, la torre del Cairo risplende blu come in un giorno normale, gli agenti cominciano a indietreggiare, la camionetta sbanda, i ragazzi in divisa corrono in ritirata verso l'altra riva, i manifestanti fanno rotolare un gabbiotto bianco di metallo, è un rullo compressore che li precede. Al Jazira mostra le immagini (da un altro ponte) di un'auto della polizia in fiamme ribaltata nel Nilo. Migliaia di manifestanti raggiungono quelli che dal primo pomeriggio assediano il centro e i palazzi del governo. Assaltano e incendiano la sede del partito Nazionale democratico di Mubarak, puntano sul ministero degli Esteri e la televisione di Stato. Che annuncia un discorso del presidente al Paese, l'apparizione (la prima dall'inizio dei disordini) arriva solo dopo la mezzanotte. Mubarak difende le azioni delle forze di sicurezza («C'è un complotto per destabilizzare l'Egitto»), ma non il suo governo: «Ho chiesto ai ministri di dimettersi, da domani (oggi, ndr) insedierò un nuovo esecutivo». Lui invece resta. Promette di «continuare con le riforme economiche, politiche e sociali», avverte i manifestanti: «Fermate la violenza e gli atti di sabotaggio».
Poche ore prima del proclama, le colonne della polizia lasciano la città e incrociano i mezzi corazzati dell`esercito che hanno ricevuto l`ordine di prendere il comando. I militari erano rimasti per ora lontani dagli scontri. Il regime proclama il coprifuoco dalle 18 alle 7 del mattino, in vigore anche ad Alessandria e Suez - nessuno lo rispetta. Gli elicotteri volano tra i palazzi, coordinano i movimenti delle truppe. A terra restano i voli della EgyptAir, la compagnia di bandiera, sospesi per almeno dodici ore.
La gente aspettava i soldati per capire da che parte stanno i generali, l'esercito è riverito dal 1973, da quando sorprese Israele con un attacco lampo. La risposta arriva sulla Comiche, lungo il fiume, dove si riversano i blindati color sabbia del deserto: sul tetto i manifestanti in festa sventolano la bandiera egiziana. I soldati vengono dispiegati anche in altre zone del Paese. A El Arish, in Sinai, lo Stato Maggiore ha dovuto chiedere l'autorizzazione a Israele, dopo l'accordo di pace è zona demilitarizzata.
Si sentono colpi di fucile, risuona un'esplosione d'arma pesante, come il cannoncino di un blindato. Un gruppo di dimostranti tenta di saccheggiare il museo egizio, altri lo proteggono con una catena umana. Il sarcofago di Tutankhamon, rivestito d`oro, è custodito in queste sale.
«Ricordare il passato è importante». Prima di inginocchiarsi in preghiera, al buio, Medhat spiega con un detto egiziano perché sia sceso in strada: «Una volta chiesero al Faraone: come hai potuto diventare così potente? Lui rispose: nessuno mi ha fermato».