venerdì 18 dicembre 2009

Ponte di Messina: ci siamo.


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Impregilo: al via costruzione Ponte Messina, il titolo corre in testa al Ftse Mib
Finanzaonline.com - 18.12.09/11:44


Tra sei giorni è previsto l'avvio dei cantieri in Calabria per la costruzione del Ponte di Messina, dopo anni di tiraemolla. E' su questa notizia, anticipata a Il Messaggero da Pietro Ciucci, numero uno dell'Anas, che Impregilo corre a Piazza Affari. In questo momento il titolo del general contractor è il migliore del paniere Ftse Mib evidenziando un rialzo di oltre 3 punti percentuali a 2,3875 euro.
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Piazza Affari vira in negativo, +3% per Impregilo
Finanzaonline.com - 18.12.09/12:52


Cambio di umore per gli indici di Piazza Affari. Al giro di boa di seduta l'indice Ftse Mib cede lo 0,23% a quota 22.625 punti. Si mantiene in testa all'indice milanese Impregilo (+3,14%) sull'imminente via dei lavori in Calabria per la costruzione del Ponte di Messina. Prysmian sale del 2,14%, +1% per Stm. In coda i bancari: -2,42% per UBI e -1,69% per banco Popolare.
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Impregilo sugli scudi con il via ai lavori per il ponte di Messina
18/12/2009


Scatta in avanti a piazza Affari il titolo Impregilo dopo l'ok del Cipe all'avvio dei cantieri per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, opera da 6 miliardi di euro circa. La cerimonia per l'inizio dei lavori, prevista per il 23 dicembre, slitterà per permettere anche al premier, Silvio Berlusconi di partecipare, ma entro la fine dell'anno cominceranno i lavori in Calabria, come ha detto il presidente dell'Anas, Pietro Ciucci.

Ora Impregilo sale del 3,36% a 2,385 euro dopo aver toccato un massimo a 2,40 euro. "C'è il via libera e il supporto del Governo. I contratti sono stati aggiornati. C'è l'ok per la nuova convenzione. E tra sei giorni è previsto l'avvio dei cantieri in Calabria. Insomma abbiamo staccato il biglietto per realizzare l'opera", ha sottolineato Ciucci.

I lavori dunque partiranno subito e slitterà solo la cerimonia della prima pietra, ha precisato Ciucci. "Abbiamo deciso di attendere, in modo che possa essere presente anche il presidente Silvio Berlusconi", costretto a letto per l'aggressione della scorsa settimana a Milano.

Il Ponte deve essere completato entro il 2016. Entro l'estate ci sarà il progetto definitivo, già ampiamente elaborato e studiato, e "daremo certezze ai privati che vogliono partecipare", ha concluso il presidente dell'Anas. La ricerca dei finanziamenti delle società private per i lavori del Ponte sullo Stretto di Messina dovrebbe iniziare dalla seconda metà del 2010.

Eurolink è il contraente generale che realizzerà il Ponte e che ha come capofila Impregilo e altre società esperte in questo tipo di opere: le italiane Condotte d'Acqua, Cmc di Ravenna, la Aci Consorzio Stabile e la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries Co Ltd. Incaricati della progettazione sono invece Cowi A/S (Danimarca) Buckland & Taylor Ltd (Canada) Sund & Baelt A/S (Danimarca). Per il ponte la quota di Impregilo dei fondi già stanziati è di circa 500 milioni di euro.
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Cipe, ok a 330 mln per lavori Ponte Stretto Messina
giovedì 17 dicembre 2009 11:26

ROMA (Reuters) -
Il Cipe ha approvato la destinazione di risorse per 330 milioni per il Ponte sullo Stretto di Messina. Lo si legge in una nota delle Infrastrutture.

"Approvate le risorse necessarie all'aumento del capitale della società Stretto di Messina garantendo all'Anas e alle Fs una quota pari a 330 milioni di euro, aggiuntivi a quelli previsti nella Finanziaria 2010. Risorse queste che verranno utilizzate nei prossimi anni a fronte del fabbisogno derivante dalla realizzazione del Ponte", si legge nella nota.

"Il completamento dei finanziamenti relativi alla Variante di una linea ferroviaria a Cannitello per complessivi 26 milioni di euro consentirà, inoltre, la sottoscrizione dei contratti e l'avvio dell'esecuzione dei lavori come programmato nella prossima settimana", aggiunge la nota.

Tra gli altri provvedimenti approvati, la nota elenca 162 milioni per due lotti della statale Olbia Sassari.

Il Cipe ha anche approvato il contratto di servizio delle Fs con cui si garantisce il servizio passeggeri a lunga e media percorrenza.
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Stretto di Messina: un ponte per le mafie
di Paolo De Gregorio


Le ultime dichiarazioni rilasciate pochi giorni fa dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sulla costruzione del ponte dello stretto di Messina, hanno suscitato molteplici riflessioni tra l’opinione pubblica. Vi proponiamo quella di un nostro lettore…

La questione del ponte sullo stretto di Messina mi evoca immediatamente l’opzione nucleare, in entrambi i casi viene scelta la strada più costosa
La questione del ponte sullo stretto di Messina mi evoca immediatamente l’opzione nucleare, in quanto in entrambi i casi viene scelta la strada più costosa, più pericolosa, più irrazionale, più lunga come realizzazione, al posto di scelte non pericolose, praticabili subito, senza impatti ambientali.

Naturalmente, per quanto riguarda l’energia, parlo del fotovoltaico diffuso, che è in grado di dare, se solo lo si volesse, tutta l’energia di cu abbiamo bisogno. Basterebbe incentivarlo come si fa con l’auto, rottamando tra l’altro vecchi impianti a gasolio o a gas e sostituendoli con questa meravigliosa, efficiente fonte rinnovabile.

La resistenza delle lobby del petrolio e del nucleare crea condizioni per cui tale innovazione energetica non venga fatta, anzi viene ostacolata da norme burocratiche tese a scoraggiare chi vuole cambiare, e non incentivata come buon senso vorrebbe.

È chiaro che se l’opinione pubblica si rendesse conto che il fotovoltaico funziona e ci da vera energia pulita e non pericolosa, e vedesse questo fatto realizzato in concreto, la follia del ritorno al nucleare sarebbe seppellita per sempre.

Per il ponte sullo stretto di Messina il discorso è identico: si sceglie la via più assurda perché mette in moto una grande mole di denaro, di appalti, di affari che, in quelle regioni (Calabria e Sicilia), significa ingrassare le due mafie, che poi ricorderanno chi devono votare alle elezioni.

Se invece usassimo il metro di risolvere i problemi senza offrire opportunità alle mafie, la questione del ponte cadrebbe nel ridicolo, poiché non basta velocizzare il traffico tra Sicilia e Calabria, guadagnando qualche decina di minuti rispetto ai traghetti, ma vi è la questione dell’autostrada Salerno-Reggio, che è un budello impercorribile, la cui modernizzazione richiederebbe spese superiori a quelle per il ponte. L’attuale traffico su questa arteria risulta così intasato che i tempi di percorrenza di un TIR, che dalla Sicilia va al Nord, sono tempi commercialmente inaccettabili.

La soluzione sono le autostrade del mare, con traghetti pensati solo per il trasporto dei TIR, mezzi superveloci, che possono svuotare facilmente la Salerno-Reggio, che possono collegare in poche ore Palermo con Salerno-Civitavecchia-Livorno-Genova e Catania con Bari-Ancona-Ravenna-Trieste, realizzando così anche il compito di ridimensionare il traffico sulla Adriatica.

Basta fare uno studio sui volumi di traffico su queste due arterie e mettere a disposizione un numero di navi adeguato. Per il traffico nei due sensi tra Sicilia e continente il conto sarebbe presto fatto, basterebbe chiedere alle Ferrovie dello Stato quanti biglietti vendono al giorno per traghettare i Tir.

Sarebbe ora di smetterla di occuparci della vita, più o meno dissoluta, del Cavaliere e contrapporre ai suoi programmi, spesso distruttivi, proposte serie, razionali, praticabili, andando a parlare con le popolazioni interessate e mettendo in piedi un movimento anti-ponte e anti-nucleare, fra la gente dei possibili siti nucleari, fra la gente di Messina e Reggio Calabria, e non dai comodi studi televisivi o dai palazzi del potere.
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Ponte Stretto,Tozzi: "rischia di unire due cimiteri"
di Mario Tozzi
12/4/2009


"Nessun terremoto e' prevedibile. E cio' che ha detto il ricercatore abruzzese dell'Infn e' una cosa priva di qualsiasi fondamento, non si basa su alcun dato scientifico. È piu' che altro una sensazione. Fino adesso al mondo nessuno e' riuscito a realizzare strumenti in grado di prevedere terremoti. Se ci fosse un sistema ben venga ma quello non lo e', e non ha alcuna validazione scientifica. Peraltro Giuliani non e' ne' un geologo ne' un geofisico...". Lo afferma Mario Tozzi, geologo, primo ricercatore al Cnr intervistato dal direttore di Articolo21 Stefano Corradino.

"L'unica cosa che si puo' fare e' prevenire - afferma Tozzi -. Risanando, ricostruendo e soprattutto osservando leggi antisismiche. Una cosa che non e' stata fatta in alcun modo. Se non si osservano questi criteri c'e' poco da fare... Di manutenzioni non se ne fanno ne' per gli edifici pubblici (con i soldi pubblici) ne' per gli edifici privati, che potrebbero essere risanati concedendo ai privati stessi incentivazioni e sgravi fiscali se ristrutturano in maniera antisismica". Tozzi e' preoccupato per il piano case del governo.

"Chiedo che il governo preveda che nei comuni a rischio non sia possibile fare ampliamenti di alcun genere perche' altrimenti rischiamo di aggravare la situazione nell'intero paese. Costruire un piano in piu' significa condannare al collasso una struttura alla prima scossa sismica. E poi e' assurdo pensare che il progettista sia l'unico soggetto a certificare se il lavoro e' fatto bene o male".

Oggi intanto il premier Berlusconi ha parlato del Ponte sullo Stretto di Messina dicendo che si fara' e che e' "un'opera prioritaria, epocale e fondamentale per l'unita' del paese"."Io penso - afferma il geologo - che sia scarsamente produttivo dal punto di vista economico, non favorira' gli spostamenti ma soprattutto rischioso. Per problemi di sismicita' ma non solo, perche' quella zona e' funestata da frane a scivolamento profondo. Grossi spostamenti di terreno soprattutto in Calabria che possono addirittura interessare le zone di ancoraggio dei piloni.

Il ponte rischia di unire non due regioni ma due cimiteri". Critico anche sull'azione dei media. "In termini di quantita' - conclude Tozzi - la copertura e' stata buona come qualita' meno. Si e' puntato troppo sulle dichiarazioni del ricercatore abruzzese Giuliani e poco sul fatto che in Italia non si fa prevenzione e che quindi siamo tutti a rischio".
PONTE
I costi del Ponte
4.732 milioni di Euro
di cui 3.410 per il ponte
1.322 per gli allacci stradali e ferroviari.
Tempi di esecuzione
6 anni dall'inizio dei lavori
che è previsto per la fine del
2006 inizio 2007

NO-PONTE
VOGLIAMO LA TAV TRA GLI AEROPORTI DI PUNTA RAISI (PALERMO) E FONTANAROSSA (CATANIA)

SONDAGGIO de "il Sole 24 Ore"

mercoledì 16 dicembre 2009

Sono solo, sono solo, non c'è nessuno dietro di me...

"Poco prima che l'aggressore scaraventasse contro il presidente la statuetta ho visto che c'è stato dietro... come se lui si stesse dimenando per prendere qualcosa da qualcuno che ovviamente non ho visto. Mi è sembrato di vedere proprio questo gesto che lui stesse prendendo qualcosa e questo l'ho visto perchè avevo degli amici che erano lì alla sbarra e mi stavo preoccupando che potessero salutare il presidente del Consiglio [...] E poi mi è sembrato di vedere un nylon, come se questa cosa fosse avvolta in un nylon. Quando poi è stato catturato dalla polizia e dal servizio d'ordine, la cosa che mi ha fatto tornare in mente quello che avevo visto poco prima è stato il fatto che lui ha detto, appena catturato: sono solo, sono solo, non c'è nessuno dietro di me'. Io invece ho avuto la percezione che qualcuno gli stesse passando qualcosa".

Andrea Di Sorte, coordinatore dei club della Libertà
"Il premier ha il diritto di stare tra la folla"
De Magistris: capire se c'è un suggeritore

di Buccini Goffredo

da il Corriere della Sera di mercoledì 16 dicembre 2009, pagina 9

«Sa qual è l'assurdità, poi?».

Quale?

«Non si può dire al presidente del Consiglio stattene chiuso in casa. Berlusconi ha tutto il diritto di scendere in strada a parlare con la folla, anzi mi piace l'idea di un politico che va tra la gente. Il punto è proteggerlo».

Quindi?

«Non voglio insinuare nulla: ma con la sicurezza che ha, stupisce sia stato colpito».

Ha sospetti, da ex pm?

«Beh, proprio da ex pm sono abituato ad attendere l'esito dell'indagine».

Qualcuno avrà aiutato Tartaglia?

«Bisogna chiarire se è andato là da solo, se qualcuno gliel'ha suggerito, se l'hanno lasciato fare...».

Pensa a mandanti morali?

«Ma no! Quelle su Di Pietro sono calunnie e falsità. Vorrei vedere se Tartaglia è stato agevolato o se qualcuno l'ha potuto istigare. Aspettiamo».

Dopo la bufera, Luigi De Magistris vuole «politicizzare», ricucire, relativizzare le differenze con Tonino Di Pietro raccontate sui giornali come l'ennesima rottura nell'Italia dei Valori, il segno della nuova Opa che ai primi di febbraio il delfino mai designato potrebbe lanciare contro il fondatore non più indiscusso, al congresso del partito. E tuttavia gli accenti sono diversi per quanto Tonino il Vecchio e Gigino il Giovane sembrano uguali, troppo uguali, anche nelle foto del 5 dicembre, al No Berlusconi Day, con le sciarpe viola al collo e il sorriso sgranato per i flash. «De Magistris è Di Pietro allo specchio» e lo metterà alle corde, prevede Alessandro Campi di FareFuturo. De Magistris da Bruxelles sbuffa, tossisce, s'è appena alzato dal suo scranno di eurodeputato, batte e ribatte sulla difesa della libertà del web:

«E' una anomalia italiana cercare di controllare la Rete prendendo a pretesto i soliti imbecilli»

Poi giura:


«Mi può non credere, ma io e Antonio non abbiamo avuto mai divergenze. Anzi, gli ho telefonato poche ore fa. Ci siamo detti: è paradossale che in tutta la faccenda sotto attacco ci finiamo noi».

Veramente ci fluisce lui. Lei ha fatto la figura del bravo ragazzo, condannando senza se e senza ma l'aggressione a Berlusconi.

«Io e lui non siamo fatti con lo stampone, non voglio dire chi è meglio. Ma le idee sono quelle: difesa della Costituzione e opposizione netta».

Di Pietro per cancellare l'ultima battaglia con lei aveva detto: «Siamo d'accordo su tutto, l'unica cosa è che non andiamo a letto insieme». Siete in quella fase?

«Ognuno ha il suo modo di esprimersi. Ma le idee sono quelle...».

Scusi se la interrompo. Di Pietro ha appena detto alla Camera che Fabrizio Cicchitto, capogruppo PdL, ha «condannato a morte» Travaglio, Santoro e tutti i presunti protagonisti della «campagna d'odio» contro Berlusconi. Condivide?

«Penso che Cicchitto usi parole da peronismo del Terzo millennio: lo scriva, noi non ci faremo intimidire».

Le chiedevo di Di Pietro. Condivide i toni del suo leader?

«Condivido sì, nel senso che nel PdL stanno cambiando le carte in tavola. Poi non sono abituato a mettere la firma su dichiarazioni degli altri. Ma le diversità, tra Di Pietro e me, sono ricchezza per l'IdV e il centrosinistra».

Lei parla in politichese, ma molti pensano che voglia far fuori Tonino.

«Falso».

Dunque al congresso sosterrà Di Pietro per la presidenza dell'IdV?

«Non ci sono alternative a Di Pietro. Io porterò nel partito le mie idee».

Per questo si è iscritto?

«Beh, non sono ancora iscritto».

Ma l'aveva dato per fatto...

«Il percorso dovrebbe essere quello, valuteremo con Di Pietro. Ma, scusi se insisto, vorrei che scrivesse che la mia posizione è sempre stata chiara su Berlusconi: condanna piena della violenza senza arretrare di un millimetro contro il peronismo».

Secondo lei Di Pietro pu nutrire rancori personali verso Berlusconi, magari dai tempi di Mani Pulite?

«Non penso, lo conosco. E poi siamo nel 2009. A quell'epoca ero un ragazzo...».

...che si sognava magistrato...

«Sì, la magistratura è il sogno di una vita».

Per questo non voleva mollare, neanche quando l'hanno eletta eurodeputato?

«Io e Di Pietro siamo tra i pochissimi che hanno lasciato la toga entrando in politica».

Di Pietro era infognato nelle inchieste di Brescia...

«Beh, sono storie diverse».

Andrebbe a trovare Berlusconi in ospedale?

«No. E una passerella».

Gigino il Giovane e Tonino il Vecchio, diversi ma uguali. Almeno un po'.

Luigi De Magistris, 42 anni, nato a Napoli, ha intrapreso la carriera di magistrato nel '95. Dal '98 al 2002 ha lavorato alla Procura della Repubblica di Napoli per poi passare come sostituto procuratore al Tribunale di Catanzaro. Nel 2009 lascia la magistratura e si candida alle elezioni del Parlamento europeo come indipendente nell'italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Diventato europarlamentare, viene eletto presidente della commissione del Parlamento europeo preposta al controllo del bilancio comunitario.

martedì 8 dicembre 2009

Lettera aperta al capo del governo che "più di ogni altro ha fatto nella lotta alla mafia"

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Egregio sig. capo del governo che più ha fatto nella lotta alla mafia, le vorrei chiedere perchè ella, unitamente ai suoi ministri, millanta risultati nella lotta alla criminalità organizzata che non le competono.
Non le competono perchè ella, insieme ai suoi ministri, ha operato ed opera con «Molta propaganda, molti spot e pochissima concretezza»
Vediamo perchè, cominciamo con le Procure.
Alcune Procure sono prive sia del capo sia dei sostituti; altre hanno scoperture di organico anche del 60 per cento.
Alla Procura di Palermo, ad esempio, mancano ben 16 pubblici ministeri.
Se ella e il suo Governo, che più ha fatto nella lotta alla mafia, volesse garantire la sicurezza dei cittadini metterebbe Procure e Questure in condizioni di operare in modo dignitoso.
Se ella e il suo Governo, che più ha fatto nella lotta alla mafia, volesse prendersi dei meriti non saremmo al paradosso, ad esempio, di auto della polizia guaste e ferme in garage. Le riparazioni non si possono fare, mancano i fondi, non saremmo al paradosso di mancanza di carburante per i veicoli, di mancanza di toner per le fotocopiatrici, di mancanza della carta per redigere verbali, tanto che oggi stava per essere riciclato un documento storico, per quello che può importarle, l'ordine di servizio del 23 maggio '92, si, proprio quello del giorno della strage di Capaci dove persero la vita un magistrato, a cui non fu dato il tempo di diventare una toga "rossa", la di lui moglie, anch'essa magistrato, e i ragazzi della scorta: le ricordo quei nomi: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.
Scusi la divagazione sig. capo del governo che più ha fatto nella lotta alla mafia,torniamo al nostro discorso. I commissariati sono al collasso, con una sola volante a disposizione.
A rischio è la sicurezza dei cittadini. Alcuni poliziotti anticipano di tasca propria i soldi per piccole riparazioni alle vetture, pur di evitare di doverle lasciare in officina,
sarò più preciso, sig. capo del governo che più ha fatto nella lotta alla mafia, Roma e Napoli (500 auto ferme in garage), a Palermo il dato è allarmante: su 530 tra autovetture e moto assegnate alla questura, 140 sono ferme alla caserma Lungaro, nella sezione Motorizzazione. Dal guasto di pochi euro per una frizione fuori uso si passa anche a spese da mille euro per motori sui quali gravano migliaia di chilometri.
Le maggiori ripercussioni hanno investito i commissariati, che in media dovrebbero disporre di sette-dieci auto, a seconda dell'importanza dell'ufficio. Invece il 60 per cento delle macchine sono ferme.
A ogni turno dai commissariati esce sempre la stessa auto, con il risultato che i mezzi fuori uso alla Lungaro sono destinati ad aumentare. Questa è la situazione di Palermo, per esempio, quella Palermo dove ci sono stati gli arresti più clamorosi, di cui lei reclama il merito, effettuati dagli agenti che non solo operano in queste condizioni,che definire disagiate è poco, ma che lei neanche paga regolarmente, questi agenti hanno effettuato gli arresti perchè coordinati da quelle "toghe" che lei definisce rosse ma che sono insieme agli agenti i soli ad essere legittimati ad attribuirsene i meriti, non lei e neanche quei buffoni dei suoi galoppini.
Come risponde, sig. capo del governo che più ha fatto nella lotta alla mafia?
Tanto le dovevo...un cittadino che non si sente rappresentato da lei ne dal suo governo...

Aloi Calabrese

domenica 6 dicembre 2009

Per tutte le stagioni

di Marco Travaglio (da l'Unità del 07 novembre 2007)

In questo paese di smemorati selettivi, si può dire tutto e il contrario di tutto senza mai vergognarsi. Capita persino di sentire l’ometto che ha rovinato gli ultimi 5 anni di vita a Enzo Biagi raccontare la sua affettuosa amicizia con Enzo Biagi. E chi raccoglie le sue dichiarazioni, anziché sputargli in faccia ricordandogli il diktat bulgaro e gl’insulti dei servi sciocchi e furbi, le registra con freddezza anglosassone. Ricordate il pm Woodcock? Il 18 giugno 2006, nel salotto dell’insetto, Gianfranco Fini dichiarò che «in un paese civile quel pm avrebbe già cambiato mestiere». Quel pm era colpevole di avergli arrestato il portavoce, Salvatore Sottile, quello che faceva i colloqui orizzontali alle aspiranti veline alla Farnesina, tra stucchi e feluche, e di avergli intercettato la moglie Daniela, impegnata in vari traffici con la Regione per le sue cliniche. Bene, ieri il gip di Roma ha rinviato a giudizio Sottile per peculato: usava l’auto di servizio per mandare a ritirare la «merce», cioè le ragazze, e farsele portare in ufficio. E qualche mese fa Fini ha lasciato la signora Daniela, troppo impegnata nel ramo sanità. In un paese civile, almeno un giornalista che chiede a Fini se non intenda «cambiare mestiere» lo si troverebbe. Invece ha ragione Fini: non siamo un paese civile. Ricordate la Procura di Palermo? Un’ampia e variegata letteratura giornalistica, che va dal Foglio a Panorama, dal Giornale al Riformista, l’ha dipinta come un nido di vipere così impegnate a farsi la guerra fra “caselliani” e “grassiani” per trovare ancora il tempo di fare le indagini. Insomma, «il pool è morto» da quando a guidarlo non c’è più Piero Grasso, indegnamente sostituito da Francesco Messineo che ha addirittura deciso di avvalersi di tutti i pm antimafia, anche quelli defenestrati dal predecessore. Non s’è ancora asciugato l’inchiostro delle ultime paginate, ed ecco che il «pool morto» riesce a far arrestare il nuovo capo di Cosa Nostra, erede di Provenzano ma un filo più operativo del vecchio boss tutto pannoloni, dentiere e prostatiti. Sappiamo bene che le catture dei latitanti sono anzitutto merito delle forze dell’ordine, anche se quando fu preso lo Zu Binnu molti spacciarono l’operazione come il trionfo di Grasso, peraltro già a Roma da mesi in un ruolo: quello di capo della Procura nazionale, che non c’entra nulla con indagini e catture. Dunque, il merito della cattura dei Lo Piccolo è anzitutto della squadra catturandi della Questura. Si dà il caso però che si sia arrivati al boss grazie a un pentito, e che quel pentito sia stato «gestito» dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone, e dai sostituti Geatano Paci e Nico Gozzo, che la vulgata negazionista degli ultimi anni ha bollato come “caselliani”, dunque incapaci di acchiappare i «veri mafiosi». Gozzo, insieme a Ingroia, ha sostenuto l’accusa nel processo Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (sentenza paragonata da esponenti della Cdl alle «rappresaglie dei nazisti in fuga»). E Paci è il pm che scoprì i legami di Cuffaro con il boss Guttadauro. Ma, siccome insisteva per contestare al governatore il reato di concorso esterno, mentre Grasso e altri preferivano il più blando favoreggiamento, fu estromesso su due piedi dal «suo» processo. Qualche mese fa, il presidente della commissione Antimafia, Francesco Forgione, gli diede il resto, respingendo la proposta dei Comunisti italiani di nominarlo consulente - part-time e a titolo gratuito - dell’insigne consesso parlamentare: questo Paci ­ spiegò - è una testa calda, uno che chiede addirittura la condanna dei suoi imputati, insomma uno da tenere a distanza. Ora sarebbe forse il caso che qualcuno chiedesse scusa a Paci, ma non succederà. Anzi, D’Avanzo ci spiega che la cattura di Lo Piccolo è «un successo che viene da lontano, da un’altra stagione giudiziaria». Diavolo d’un Grasso: riesce a catturare i latitanti anche dal suo ufficio a Roma! Altro che Messineo, Morvillo, Paci e Gozzo: è stato il superprocuratore che, con i suoi superpoteri, seguita a effondere i suoi balsamici effluvi su Palermo anche a migliaia di chilometri di distanza, anche per contrastare i malefìci dell’orrido Caselli. Qualche ingenuo domanderà: ma, se gli elementi per catturare Lo Piccolo eran già disponibili nell’«altra stagione giudiziaria» (cioè addirittura prima dell’arresto di Provenzano), perché lasciarlo libero fino all’altroieri? Ma che domande: per aumentare la suspence, no?

Fonte: l'Unità

domenica 29 novembre 2009

D'Alema, Violante e Castelli mi dissero che c'entrava Berlusconi

Da "il Riformista" del 27 Novembre 2009

Costanzo racconta il suo attentato
Io, la bomba e Spatuzza
di Fabrizio D'Esposito


Dice Maurizio Costanzo: "Il mio attentato fu anomalo rispetto agli altri di quella stagione stragista. La mafia aveva un conto aperto con me e voleva regolarlo".
il titolare del talk-show più longevo della tv italiana riapre il suo capitolo personale sul Novantatrè degli attentati a Roma, Firenze e Milano. A lui doveva toccare il 13 maggio dopo una puntata del Maurizio Costanzo Show.

Il radiocomando dell'autobomba però si inceppò. Tutto rinviato di 24 ore. Il commando mafioso è di sette persone tra cui Gaspare Spatuzza, il pentito che h svelato l'identità di Autore1 e Autore2 quali presunti mandanti della stagione stragista, ossia Silvio berlusconi e Marcello Dell'Utri. Il 14 maggio a Via Fauro, ai Parioli, l'ordigno esplode al passaggio di Costanzo. In macchina con la moglie Maria De Filippi, l'autista e il cane. Tutti salvi.

Secondo Spatuzza, la strategia mafiosa della tensione aveva mandanti politici ben precisi.
Non ci crederei nemmeno se mi portassero davanti il pentito e me lo dicesse. Penserei a un ventriloquo.
Ci sono dei verbali.
Senta, io questa storia la so da tempo. Dopo il processo di Firenze sulle stragi, fui avvicinato nello stesso periodo ma in diversi momenti da tre persone: D'Alema, Caselli e Violante. Tutti e tre mi dissero più o meno la stessa cosa: "Guarda che il mandante del tuo attentato è Berlusconi". Non ci ho mai creduto. Assolutamente.
Però c'è chi collegò la bomba al suo dissenso, dentro Mediaset, alla discesa in campo del Cavaliere.
E che c'entra? Anche Confalonieri era contrario. No, guardi, la storia dell'attentato di via Fauro è un'altra. Almeno per come l'ho ricostruita in vari passaggi.

Costanzo si ferma. Sulla scrivania c'è la sentenza del processo di Firenze sugli esecutori delle stragi. All'inchiesta della procedura di Vigna lavorò anche un magistrato che oggi non c'è più, Gabriele Chelazzi. Il pm scoprì che la mafia di Riina e Bagarella voleva eliminare Costanzo già alla fine del '91. L'attentato fu programmato per gennaio-febbraio dell'anno successivo. Una sera il giornalista fu seguito ma non andò a casa. Sempre ai Parioli, si diresse altrove, in una strada piena di polizia. Lì abitava l'allora ministro degli interni Enzo Scotti. Si era rotto una gamba. E Costanzo andava a trovarlo. Il piano fallì e per mesi i corleonesi di Riina e Bagarella e i catanesi di Santapaola si palleggiavano un nuovo tentativo. I catanesi s'infiltrarono persino tra gli spettatori del MCS, approfittando di una trasferta del gruppo Condorelli della Sicilia. In merito, gli inquirenti hanno interrogato anche l'attore Leo Gullotta, testimonial dei torroncini. Ma i catanesi non andarono oltre. Così si arriva al 14 maggio 1993. La conversazione riprende con una domanda di Costanzo.

Sa cosa mi disse dopo un famoso poliziotto?
No.
Che ero stato fortunato, perché se avessero agito i catanesi avrebbero usato i mitra e non le bombe. La verità è che io ho avuto un c..o che la metà basta. Io, mia moglie, l'autista, il cane ci siamo salvati per tre secondi.
il radiocomando fu azionato quando la sua auto stava oltrepassando quella con la bomba.
Un colpo di fortuna. Il pomeriggio del giorno prima, il mio solito autista mi aveva avvertito che non poteva venirmi a prendere dopo la puntata. Mi mandò un'altra auto e questo spiazzò i sicari. Mi individuarono in ritardo. Il cratere scavato dalla bomba era largo oltre un metro. io pensai allo scoppio di una tubtura del gas e lo dissi anche ai miei figli per telefono.
Se Berlusconi e la stagione stragista non c'entrano nulla, perché la mafa voleva ammazzarla?
Fu per la puntata del '91 dopo l'omicidio di Libero Grassi. La sera del 20 settembre io da Roma su Canale 5 con il mio show e Michele Santoro con Samarcanda su Raitre, in collegamento da Palermo, demmo vita a un evento rimasto unico nella storia della tv. Rai e Fininvest contro la mafia. Con me, sul palco del MCS, c'era anche Giovanni Falcone.
E poi?
Da allora iniziai ad occuparmi sempre più spesso di mafia, anche in maniera solitaria. Da me sono venuti il giudice Di Maggio, la nuora di Bontade. All'allora guardasigilli Martelli chiesi anche di mandare negli ospedali militari i mafiosi malati. Entrai pesantemente nella loro vita e Riina esplose contro di me: "Questo Costanzo c'ha rotto i coglioni".
Un contro personale con lei regolato in una fase ancora da chiarire della nostra storia. L'autobomba di via Fauro, per esempio, era di un uomo che lavorava per una società vicino al Sisde.
Si è detto anche che in via Fauro c'è un ufficio coperto dai servizi. Ma io sono sicuro, l'attentato contro di me non rientrava in quella strategia.

venerdì 27 novembre 2009

Quel giorno ad Arcore quando Craxi suggerì a Berlusconi di fondare un partito

dal Corriere della Sera del 12 Aprile 1996, Pagina 3

L'ex dc Ezio Cartotto racconta in un libro la "vera" storia di Forza Italia
"Bettino voleva una sigla che potesse unire gli elettori del pentapartito"

di Battistini Francesco

MILANO - Ha taciuto tre anni. Ora che l'hanno fatto fuori ("cacciato dall'oggi al domani - dice - si sono dimenticati di come ho messo in piedi Forza Italia"), ha deciso di raccontare in un libro la "vera" storia del partito di Berlusconi. E di svelare quel che molti hanno sempre sospettato, ma nessuno ha mai provato: che dietro la discesa in campo del Cavaliere c'era Bettino Craxi. Ezio Cartotto, cinquantatreenne ex dc, portaborse di Marcora prima e prandiniano poi, incarichi all'Eni e all'Atm, "amico di Berlusconi dal '71", tre anni e mezzo fa entrò nello staff che preparava il nuovo movimento: ufficio all'ottavo piano di Palazzo Cellini a Milano 2, a fianco di Marcello Dell'Utri, partecipò a decine d'incontri segreti in via Rovani. Circa un mese fa è stato interrogato dai magistrati torinesi Luigi Marini e Cristiana Bianconi, che indagano sull'"operazione Botticelli" e sui presunti fondi neri passati da Publitalia a Forza Italia: gli hanno chiesto conto di alcune fatture, lo considerano un testimone importante. Cartotto sa molte cose, ne ha annotate altrettante, ha conservato ogni documento. E nel libro scritto per l'editore napoletano Tullio Pironti (titolo provvisorio: "Fa' come ti dice lui"), con un ex collaboratore che si nasconde dietro lo pseudonimo di Evangelista de' Gerbi, ricostruisce i mesi passati "alla tela di Penelope, con noi che lavoravamo e Silvio che smentiva". Il capitolo principale è dedicato a quella domenica 4 aprile 1993. Un momento terribile, per il Cav: i conti svizzeri di Tangentopoli, Andreotti indagato per mafia a Palermo, due settimane ai referendum di Segni, la lira oltre quota mille sul marco, la Lega che fa penzolare un cappio in Parlamento e i giovani missini che circondano Montecitorio. Il Psi è già a pezzi: Craxi ha ricevuto 11 avvisi di garanzia, il suo attachè Giallombardo è latitante all'estero, Benvenuto mette all'asta i beni del Garofano. Alle sei del pomeriggio, sotto la pioggia, Cartotto si fa accompagnare ad Arcore dal figlio Davide, 21 anni. Viene fatto accomodare nello studio piccolo di Villa San Martino, davanti alle foto di Benedetto Croce, saluta Berlusconi e si sente dire: "Sai, c'è qui una persona...". L'incontro con Bettino dura tre quarti d'ora, racconta Cartotto. Esordisce il Cavaliere, che da mesi lavora al nuovo partito: "Sono esausto - si sfoga - m'avete fatto venire l'esaurimento nervoso. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e che mi distruggeranno. Che mi faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte. E diranno che sono un mafioso... Cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere, quando sono sotto la doccia". Craxi ascolta in silenzio. Allora parla Cartotto: cita Segni, il pericolo Lega, la Rete, i rischi dell'uninominale, finisce con Martinazzoli. Sentendo quel nome Craxi, che nel racconto "cammina nervosamente avanti e indietro, non si siederà quasi mai", interrompe: "Martinazzoli è della sinistra democristiana - dice a Berlusconi -, e per te è peggio di Occhetto. Quelli della sinistra dc sono i tuoi nemici, ricordatelo sempre, più di quelli del Pds. Non farti illusioni. Se bisogna fare una coalizione di centro non comunista, con asse portante Martinazzoli, per te sarebbe una soluzione più pericolosa del danno che vogliamo evitare". E allora? A Bettino piace l'idea d'un partito: "Bisogna trovare un'etichetta - dice -, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire gli elettori che un tempo votavano per il pentapartito. Sarebbe importante distinguere tra Nord e Centro Sud...". Il leader del Garofano, racconta Cartotto, vede bene un accordo con la Lega nei collegi del Nord e con i notabili dc e psi al Meridione. Berlusconi però è freddo: Bossi non gli piace, mentre stare con Fini al Sud sarebbe meglio... "Allora Craxi - si legge nel libro - prende un foglio di carta, ed è uno dei pochi momenti nei quali si siede. Comincia a fare dei cerchietti. Dice: "Questo è un collegio elettorale. Gli elettori saranno presumibilmente 110 mila persone e 80-85 mila quelli che avranno diritto al voto. Quelli che andranno a votare saranno 60-65 mila. Prendendo in considerazione queste persone e con l'arma che tu hai in mano delle tv, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante a favore di questo o quel candidato, ti basterà organizzare un'etichetta che riesca a raggrupparne 25-30 mila, per avere forti probabilità di rovesciare il pronostico. Accadrà per l'effetto sorpresa, per l'effetto televisione o per l'effetto del desiderio che gli elettori non comunisti hanno di non essere governati dai comunisti". Bettino insiste, cerca di convincere l'amico Silvio: "Se trovi una sigla giusta, con le tv e le tue strutture aziendali... Hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso, ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti e a salvare il salvabile". A quel punto, racconta Cartotto, Craxi se ne deve andare. Berlusconi l'accompagna. Dopo qualche minuto il Cavaliere rientra più disteso: "Bene - dice - adesso so quello che devo fare".

giovedì 26 novembre 2009

La vera storia di Niccolò

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Ghedini mi rovini
di Gigi Riva

È l'avvocato artefice delle leggi ad personam, l'architetto del Lodo. E anche il protagonista di smentite e gaffes che hanno messo in crisi la credibilità del premier. Ecco la sua carriera dai nuclei neofascisti al Palazzo


L'unica volta che Niccolò Ghedini si sedette dall'altra parte della barricata era un giovane avvocato di belle speranze chiamato a rispondere su certe sue pericolose frequentazioni di adolescente. Il processo era quello per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti, oltre 200 feriti). Rimase per sei minuti sulla sedia del testimone davanti al presidente della Corte Mario Antonacci. (ASCOLTA L'AUDIO) Confermò quanto aveva dichiarato il 27 settembre 1980 quando fu interrogato in questura. Gli inquirenti si erano concentrati, nelle indagini, su un gruppo di neofascisti padovani, la sua città, che avevano come punto di riferimento il quartiere Arcella. Ghedini li conosceva per una sua precocissima attività politica nel Fronte della Gioventù (l'organizzazione giovanile del Msi). Tracciò il profilo di Roberto Rinani, detto "l'Ammiraglio", imputato di concorso in strage, poi assolto: "Per la mia valutazione personale, mi dava l'idea che tra quei ragazzi, che conoscevo, fosse il personaggio di spicco".

"Quei ragazzi" erano una ventina di persone che si scontravano con i "rossi": "Si bastonavano per lo più". Si diceva, ma lui lo può affermare solo "de relato", che facessero anche uso di armi mentre "non ho mai sentito parlare di esplosivi". Negò di aver conosciuto Massimiliano Fachini (altro imputato) e sì invece che conosceva Franco Giomo: "Siamo usciti assieme un paio di volte, poi ha avuto un incidente, si è messo a fare l'assicuratore e non l'ho più visto. L'ho anche cercato qualche volta. So che ha avuto problemi con la giustizia ed è stato condannato e poi assolto".

Franco Giomo era un dirigente nazionale del Msi finito nei guai per i collegamenti con il nucleo Fioravanti-Mambro: i due che per la strage di Bologna ebbero l'ergastolo come autori materiali. Il futuro legale di Silvio Berlusconi nel 1988 aveva 29 anni e già una certa dimestichezza di aule di tribunale. Due anni prima era stato l'assistente di un principe del foro come Piero Longo, il suo maestro, nella difesa di Marco Furlan, il ragazzo della Verona bene che con Wolfgang Abel aveva dato vita alla banda Ludwig col proposito di liberare la società da drogati, nomadi, frequentatori di sale a luci rosse e preti: 15 persone uccise e 39 ferite. Durante le pause delle udienze Longo non mancava di presentare a tutti l'ancora acerbo collega con una frase rituale: "Tenete a mente il nome di questo ragazzo.
Si chiama Niccolò Ghedini. Farà strada".
Nemmeno lui immaginava quanta. Oggi lo stesso Niccolò Ghedini è, come il suo omonimo Machiavelli, il consigliere più ascoltato del Principe.

È lui che scende nell'arena delle trasmissioni più agguerrite, come "AnnoZero" per lanciare il grido di battaglia "Mavalaaa", diventato un marchio di fabbrica all'indirizzo degli avversari, ovviamente "comunisti" e "parrucconi". Lui che si offre alla stampa nei momenti delicati e al prezzo di straordinarie gaffes. Come quella proverbiale su Berlusconi che "anche fossero vere le ricostruzioni di questa ragazza (la D'Addario), e vere non sono, sarebbe al massimo l'utilizzatore finale e quindi mai penalmente punibile". O come quella sull'avvocato di Zappadu, il fotografo di villa Certosa, che "è difeso da un eurodeputato dell'Italia dei Valori. C'è una doppia veste, avvocato e parlamentare che non si dovrebbe confondere" (dal suo pulpito). O quando definisce le registrazioni della D'Addario inverosimili e frutto d'invenzione perché "non credo sia mai andata a casa di Berlusconi" quando proprio "L'espresso" le ha rese disponibili con la voce del premier chiaramente identificabile.

E fossero solo le gaffes. Ghedini è l'architetto delle leggi ad personam che hanno salvato il presidente da molti processi, lo stoico resistente d'aula che opponendo impedimenti, codicilli, astuzie procedurali, è riuscito a rinviarne altri fino al lodo Alfano che li ha sospesi e sulla legittimità del quale la Consulta si pronuncerà il prossimo 6 ottobre. Salvo avere l'impudenza di affermare che non è affatto contento che non si arrivi mai a sentenze perché sarebbero "senza dubbio favorevoli". È anche l'uomo che sveglia il presidente del Consiglio per rendergli noto che Veronica, la moglie, ha scritto lettere contro di lui ai giornali o ha chiesto il divorzio, che vuole una legge per rendere impossibile la pubblicazione delle intercettazioni.

Ora allarga la sua sfera d'azione, il ruolo "tecnico" non gli basta più. Media col Fini furibondo per la querela al "Giornale" di Feltri, attacca la Lega che vorrebbe la presidenza del Veneto e la accusa di fare una battaglia medievale di chiusura "per la polenta e contro l'ananas". Un lavoro indefesso, matto e disperatissimo, per alzare una corazza e far scudo all'uomo che gli ha cambiato l'esistenza. Nega se lo si definisce il ministro ombra della Giustizia. E in realtà anche quella carica occulta gli starebbe stretta. Senza avere un ruolo istituzionale preciso, se non quello di semplice deputato, ha sbaragliato, nel cuore di Silvio, tutti i possibili rivali. Fossero essi colombe o falchi. Si è fatto molti nemici, ma tira dritto per la sua strada e del resto sa di essere "una carogna" (autodefinizione). Dal nuovo ruolo di presidente della Consulta giustizia del Popolo delle libertà controlla le terminazioni nervose del sistema più sensibile del berlusconismo. E pensare che fino a un certo punto della sua vita non aveva pensato né alla politica né alla carriera legale: voleva fare l'agricoltore, gli interessava la terra.
E questa è la sua storia.
Quando nasce, il 22 dicembre 1959, Niccolò ha tre sorelle. Nicoletta, 17 anni, Francesca, 15, e Ippolita, detta Ippi, 9, il cui nome è un omaggio esplicito alla mitologica regina delle Amazzoni. Il padre Giuseppe, ex ufficiale di cavalleria, ha una passione per l'equitazione almeno pari a quella per il diritto: dna perfetto per il futuro assistente del Cavaliere. È un famoso penalista, schieratissimo a destra, originale e passionale. Non di rado nello studio volano i posacenere. L'arcigna madre Renata tiene le redini di un'educazione rigida e consona al rango di una famiglia dell'alta borghesia con una venatura di nobiltà se si fa fede al Niccolò che dichiarerà: "Nel 1600 i miei antenati furono insigniti del blasone patrizio per particolari meriti resi alla Serenissima Repubblica di Venezia". Lo stemma è un orso feroce con la spada sguainata: quasi una rappresentazione dell'immagine che vorrà dare di sé. Le ragazze hanno il percorso canonico delle bennate di Padova. Le scuole al Sacro cuore, il classico al Tito Livio. L'ultimogenito è il cocco di casa.Molto sport: nuoto, sci, cavallo con qualche gara vinta. Poco studio: "Ero un asino". Racconterà di essere caduto da un'impalcatura, in prima media, mentre cercava di sputare in testa agli orchestrali di passaggio nella strada. Lo mandano al collegio Barbarigo dove fatica, ogni anno, ad arrivare alla sufficienza, "ma non sono stato mai bocciato".
A 13 anni, la svolta dolorosa. Muore il padre. Nicoletta e Ippolita sono costrette a occuparsi dello studio perché ne hanno seguito le orme. Francesca ha il pallino dell'archeologia. E Niccolò è già in politica. Un nero deciso, negli anni in cui, come altrove, non esistevano le mezze misure e a Padova restava viva una tradizione neofascista nata con Franco Freda e con la cellula di Ordine Nuovo impegnata nella strage di Piazza Fontana. Occupa il tempo che gli rimane nelle due aziende agricole di famiglia che producono vino e olio e coltiva il sogno di iscriversi ad agraria. Conosce, quindicenne, la donna della sua vita, Monica Merotto, figlia del titolare di un'oreficeria, che si laurerà a Cà Foscari con una tesi su "Federico II ed Ezzelino II da Romano nel territorio padovano" e gli darà, molto tempo dopo, un figlio chiamato Giuseppe, come il nonno, oggi dodicenne.

Le scelte irrevocabili dell'adolescenza, si sa, possono cambiare rapidamente. Non è ancora maggiorenne, Niccolò, quando abbandona l'estremismo per le acque più placide del Partito liberale in cui si distingue un leader che ha per nome Giancarlo Galan, attuale governatore del Veneto. E anche la terra può attendere se tutto il mondo che ti circonda lascia intendere che un Ghedini non può non essere un avvocato. Padova è facoltà di tradizione, troppo difficile. Per "l'asino" Niccolò molto meglio ripiegare su Ferrara, dove si laurea. Quando finalmente può mettere piede nello studio di via Altinate 86, davanti al tribunale, trova un signore che sarà parte importante del suo destino. È successo che le sorelle, civiliste, hanno rafforzato la squadra con un penalista. E non uno qualsiasi, ma col professor Piero Longo, nato ad Alano di Piave nel 1944, figlio del direttore delle Poste di Venezia, uno che non si preoccupa di manifestare la sua aperta simpatia per l'estrema destra. Lo ricordano allievo del Marco Polo, mentre brucia in piazza San Marco le bandiere cubane al tempo della crisi dei missili. Intelligenza fine, anche spregiudicata. Come quando cercò di iscriversi in un movimento di sinistra coerente con la strategia dell'"entrismo" professata da certa destra rivoluzionaria. Brillante studente a Padova e poi subito assistente con un rapporto al minimo rude con quelli di sinistra se, quando non lo salutavano in biblioteca, li apostrofava più o meno così: "Fate i furbi con me ma io vi faccio un mazzo (eufemismo) così". Tra l'accademia e la professione privilegia la seconda e non si dimentica dei vecchi camerati e li difende nello storico processo per la ricostituzione del partito fascista (1975). La sua perizia però non evita la condanna per tutti. Si dice di Longo perché, almeno a Padova, lui è considerato la mente e Ghedini sarebbe un testardo, diligente, pignolo, allievo. Che cerca, anche in un certo lessico aulico, di imitare colui che tutto gli ha insegnato.

Proverbiali alcune frasi pronunciate con la voce cantilenante che abbiamo imparato a conoscere: "Ella, signor giudice...". Sta di fatto che, per quelle circostanze fortunate che capitano agli umani, Niccolò finisce, e siamo alla metà degli anni Novanta, a fare il segretario delle Camere penali quando Gaetano Pecorella ne è presidente. È Pecorella che lo introduce alla corte di Arcore. Prima un processo, poi un secondo, poi si prende tutto. Difende il premier "gratis" nelle cause personali mentre si fa pagare per quelle che interessano Mediaset o le altre società del Sultano. Niccolò Ghedini è diventato più ricco di quanto già non fosse. Dichiara di guadagnare un milione e 300 mila euro ed è tra i Paperoni della Camera. Possiede 44 tra case e terreni tra cui una tenuta a Montalcino e la storica dimora di famiglia a Santa Maria di Sala (Venezia) dove si è fatto costruire una piscina, una cappella privata e dove ospita i vertici del Pdl veneto quando non lo stesso Berlusconi. In garage tiene una collezione impressionante di auto d'epoca. Quanto alle sorella, Francesca, direttore del dipartimento di Archeologia a Padova, bellissimi occhi chiari, l'unica rimasta nubile, è stata nominata da Sandro Bondi nel Consiglio superiore del Beni Culturali. Nicoletta, la primogenita, rimasta vedova di Paolo Favini delle omonime cartiere di Rosà, e Ippolita, moglie del procuratore di Trieste Michele Dalla Costa, sono diventate le avvocate civiliste di Berlusconi nel divorzio con Veronica Lario. Non è la sola loro causa importante. Difendono anche Luciano Cadore, un maggiordomo che ha ereditato dall'imprenditore delle pellicce Mario Conte, dove era a servizio, un patrimonio stimato dagli inquirenti in 70 milioni di euro. Cadore è indagato con l'accusa di aver falsificato il testamento e ha devoluto un milione di euro alla Libera fondazione di Giustina Destro, ex sindaco di Padova e attuale parlamentare Pdl.

Nessuno dei Ghedini ama farsi vedere in pubblico. Di Niccolò si segnala la presenza a Padova solo quando la scorta lo accompagna sotto l'ufficio con qualche disappunto dei residenti per gli intralci al traffico. Le sorelle stanno appartate. E vivono nel culto di quello che considerano il loro Grande Fratello. Lo stesso ruolo che in fondo gli ha affidato Silvio Berlusconi, concedendogli il compito di stare alla sua destra. Almeno fino a quando reggerà lo scudo del Lodo.

ha collaborato Cristina Genesin

domenica 15 novembre 2009

EL CONCURSANTE

Il film mette in evidenza quella che è la causa unificante di tutto il disordine sociale, politico, economico, territoriale, alimentare, energetico, sanitario e chi più ne ha più ne metta. Una sola parola: Signoraggio.


...mettiamo che la banca possieda in totale 100 monete d'oro, che è la quantità d'oro che esiste. 100 monete, niente di più. Oltre all'uomo "buono" esistono altre 10 persone: lei, io, un fabbro, una sarta,un poliziotto, eccetera... 10 persone in totale. Tutti abbiamo bisogno dell'oro per comprare, e tutto abbiamo chiesto un PRESTITO: 10 monete ciascuno, un totale di 100 monete...
Il banchiere ci ha dato tutto il suo oro, con assoluta generosità... in cambio di cosa? Un semplice 10%? Una monetina per persona? E' giusto, però... secondo Pitagora abbiamo un problema: se in 12 mesi dobbiamo pagare 11 monete ciascuno da dove le prendiamo? 11 monete ciascuno sono 110 monete. Questo significa che ci sono 10 monete d'interessi che non riusciremo MAI a pagare. MAI. Qualunque cosa accada. Non ci sono problemi, la banca fu creata per facilitare le cose, non per complicarla. C'è una soluzione ragionevole. "Pagatemi solo gli interessi, una moneta ciascuno. Vi aspetterò. Il prossimo anno mi pagherete la quantità prestata inizialmente". Le prime 10 monete, insomma.Quindi, se paghiamo una moneta, ce ne rimarranno 9 ciascuno. Allora se ancora dobbiamo pagare 10 monete alla fine dell'anno continueremo con lo stesso DEBITO, in più avremo MENO DENARO... se continuiamo così per altri 10 anni (sempre che ci lascino pagare solo gli interessi) alla fine rimarremo senza niente: spariranno tutte le monete e avremo ancora il debito iniziale DA PAGARE. La banca avrà recuperato tutto l'oro, noi non avremo NULLA, in più avremo ancora il debito iniziale da pagare. 100 monete tra noi tutti che non riusciremo a pagare MAI, semplicemente perché NON ESISTONO...

...saremo diventati SCHIAVI DELLA BANCA... e perché? PER NULLA e IN CAMBIO DI NULLA!

lunedì 19 ottobre 2009

Siamo tutti Raimondo Mesiano - Anch'io ho il calzino turchese

Da voglioscendere.ilcannocchiale.it:

Riprendiamo la campagna di solidarietà al giudice Mesiano lanciata da Il Fatto Quotidiano

Molti magistrati da lunedì andranno a lavoro con i calzini turchesi in segno di solidarietà con il loro collega Raimondo Mesiano linciato da Canale5 per aver osato dare torto alla Fininvest. Facciamolo anche noi.

sabato 10 ottobre 2009

L'accanimento del rotolo bugiardo

Volevo fare un post sulle differenze tra la versione cartacea per tecnofobici del Giornale di oggi, in cui trionfa in prima pagina la notizia secondo la quale Napolitano non si sarebbe presentato ai funerali di Stato per non salutare Silvio (forse perché al popolo della rete viene semplicissimo capire che la slogatura della caviglia è una giustificazione più che accettabile?), mentre nella versione online si trova in una colonna a destra con font minuscoli, mentre al centro campeggia Berlusconi: "Case entro pochi mesi".

Poi ho trovato un articolo sull'immunità usata in Europa dagli avversari dell'imperatore.

Tra gli europarlamentari veniva citato anche Di Pietro.

Recidivi: un articolo di febbraio diceva che Tonino avrebbe prima detto in maniera "subliminale" di non volersi avvalere dell'immunità, e di essersene "dimenticato" nel momento opportuno, in quanto avrebbe chiesto "di sua spontanea volontà di comparire davanti alla Commissione giuridica Ue [...] Per legge il Parlamento (italiano o europeo che sia) è chiamato a pronunciarsi sull’immunità solo se una delle parti sollevi l’eccezione, cioè se l’accusato la richiede. Il giudice della prima udienza può anche decidere di applicarla d’ufficio, ma in questo caso non è successo, probabilmente perché il magistrato non ha ravvisato nell’articolo di Di Pietro un semplice caso di «opinione espressa nell’esercizio della funzione di parlamentare». Si sarebbe potuta chiudere lì la faccenda, con una sentenza negativa del giudice, se Di Pietro non avesse chiesto l’immunità e quindi il rinvio a Bruxelles.."

Ora, io non sono una giornalista, però penso che nel frattempo potrebbero anche informarsi: basta fare una ricerchina nel sito dell'Europarlamento per leggere che "Il Parlamento ha deciso di non revocare l'immunità di Antonio Di Pietro nell'ambito di un procedimento per diffamazione avviato da Filippo Verde presso il Tribunale Civile di Roma. Di Pietro avrebbe ammesso che l'articolo per il quale è stato incriminato conteneva un «errore madornale», ma per i deputati, nel commentare una delle più importanti vicende processuali che hanno alimentato il dibattito politico italiano, egli stava esercitando le sue funzioni parlamentari." e che nella relazione si legge che "In tale ordinanza il Tribunale italiano, esaminando l'argomento difensivo sollevato dall'on.Di Pietro sotto forma di eccezione di insindacabilità, ha chiesto al Parlamento europeo di decidere sull'immunità di Antonio Di Pietro, dal momento che all'epoca dei fatti egli era parlamentare europeo" e che "l'on. Di Pietro stava svolgendo le sue funzioni di deputato. Cercare di imbavagliare i parlamentari, avviando procedimenti giudiziari nei loro confronti, per impedire loro di esprimere le proprie opinioni su questioni che suscitano un legittimo interesse e preoccupazione nell'opinione pubblica è inaccettabile in una società democratica e costituisce una violazione dell'articolo 9 del Protocollo, che mira a salvaguardare la libertà di espressione dei parlamentari nell'esercizio del loro mandato, nell'interesse del Parlamento in quanto Istituzione."

Inoltre non è vero che solo l'accusato può richiede la discussione sull'immunità.

Nelle relazioni dei deputati che hanno fatto richiesta vengono citati due paragrafi dell'art.6 (Revoca dell'immunità) del regolamento dell'Europarlamento, ovvero il primo ("Nell'esercizio dei suoi poteri in materia di privilegi e immunità il Parlamento cerca principalmente di mantenere la propria integrità di assemblea legislativa democratica e di garantire l'indipendenza dei suoi membri nell'esercizio delle loro funzioni.") e il terzo, per il quale "ogni richiesta diretta al Presidente da un deputato o da un ex deputato in difesa dei privilegi e delle immunità è comunicata al Parlamento riunito in seduta plenaria e deferita alla commissione competente.", come nel caso di Umberto Bossi (Lega) e Aldo Patriciello (Udc).

Invece nella relazione stessa di Di Pietro si legge che "ogni richiesta diretta al Presidente da un'autorità competente di uno Stato membro e volta a revocare l'immunità a un deputato è comunicata al Parlamento riunito in seduta plenaria e deferita alla commissione competente.".

Già questa differenza non dovrebbe far drizzare le antenne ad un giornalista?

Altra bugia, anche nel caso di D'Alema (ovviamente citato nell'articolo del Giornale) è stata la procura di Milano che indagava nel caso Unipol a chedere la revoca dell'immunità (respinta dall'Europarlamento, non da D'Alema, come si lascia intendere invece nell'articolo) per poter utilizzare le intercettazioni tra lui e Consorte.

Ma perché non parlare anche del mitttico Brunetta?

Vorrei ricordare infine che il Giornale, con buona pace di Indro Montanelli, è attualmente diretto dal simpatico Vittorio Feltri, che già "l'8 novembre 1997, dopo aver ricevuto 35 querele, smentisce quanto scritto fino ad allora dal Giornale contro Antonio Di Pietro, definendole notizie pubblicate a puro scopo elettorale. Nel dicembre 1997 Feltri si dimette dopo il clamoroso articolo a favore di Antonio Di Pietro, proprio mentre Il Giornale era giunto ai suoi massimi livelli" (fonte: wikipedia.org).

giovedì 3 settembre 2009

Videocracy - 4 Settembre

Di cosa ha paura SUPERMAN?



Qui il trailer del documentario il cui spot è stato CENSURATO sia da Mediaset che dalla televisione di Stato perché sarebbe "non conforme al principio del contraddittorio" che deve essere rispettato "anche in periodo non elettorale", "lesivo delle prerogative della tv commerciale" e quindi "non rispetterebbe le convinzioni morali dei cittadini".

Il film sarà oggi a Venezia, ri­fiutato dalle sezioni ufficiali ma programmato al Lido dalle due sezioni autonome della Mostra del Cinema, la Settimana Internazionale della Critica (SCI) e le Giornate degli Autori, che han­no scelto di concerto il film.

Ot­tanta minuti di reportage spietato sull'Italia berlusconiana, le sue mutazioni antropologiche e culturali, firmati da Erik Gan­dini, regista quarantenne origi­nario di Bergamo ma traslocato a 18 anni in Svezia.

Tutti i blogger sono invitati a creare un post con il titolo "Videocracy - 4 Settembre" che abbia come testo un breve commento del blogger e il video del trailer, oltre che l'indicazione delle sale più vicine dove potersi recare per vedere il film.

sabato 29 agosto 2009

Trentuno domande

Caro Silvio Berlusconi.

Noi sottoscritti, cittadini italiani, pretendiamo che lei, Presidente del Consiglio dei Ministri, risponda alle domande che Repubblica le sta ponendo da mesi. Riteniamo che per il ruolo che lei ricopra abbia il dovere di fornirci chiarimenti e non di denunciare chi da lei vuole avere delle semplici risposte. Noi cittadini, infine, a seguito della sua denuncia, lanciamo questo appello. Che tutte le radio, che tutti i siti, che tutti i blog, che tutti i giornali anche quelli più distanti e che odiano lo stile giornalistico di Repubblica decidano assieme di ripubblicare le 10 domande perché quello che accade oggi a Repubblica potrà capitare a chiunque. E allora, caro Presidente del Consiglio, adesso denunciaci tutti!!

(FIRMA L'APPELLO, ANCHE IN INGLESE PER I CITTADINI EUROPEI)

Le dieci domande de La Repubblica:

  1. Signor Presidente come e quando ha conosciuto il padre di Noemi Letizia?
  2. Nel corso di questa amicizia quante volte vi siete incontrati e dove?
  3. Come descriverebbe le ragioni della sua amicizia con Benedetto Letizia?
  4. Perché ha discusso le candidature con Letizia che non è neanche iscritto al Pdl?
  5. Quando ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia?
  6. Quante volte ha avuto modo di incontrare Noemi Letizia e dove?
  7. Lei si occupa di Noemi e del suo futuro e sostiene economicamente la sua famiglia?
  8. E’ vero che lei ha promesso a Noemi di favorire la sua carriera nello spettacolo e in politica?
  9. Veronica Lario ha detto che lei “frequenta minorenni”. Ce ne sono altre che incontra o “alleva”?
  10. Sua moglie dice che lei “non sta bene” e che andrebbe aiutato. Quali sono le sue condizioni di salute?
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English version

Le nuove dieci domande de La Repubblica:

  1. Quando, signor presidente, ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo d'incontrarla e dove? Ha frequentato e frequenta altre minorenni?
  2. Qual è la ragione che l'ha costretta a non dire la verità per due mesi fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi prima di fare due tardive ammissioni?
  3. Non trova grave, per la democrazia italiana e per la sua leadership, che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità politiche le ragazze che la chiamano "papi"?
  4. Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008 e sono decine le "squillo" che, secondo le indagini della magistratura, sono state condotte nelle sue residenze. Sapeva che fossero prostitute? Se non lo sapeva, è in grado di assicurare che quegli incontri non l'abbiano reso vulnerabile, cioè ricattabile - come le registrazioni di Patrizia D'Addario e le foto di Barbara Montereale dimostrano?
  5. E' capitato che "voli di Stato", senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole?
  6. Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiamo compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese e i nostri alleati che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto che ridimensionano la sua autonomia politica, interna e internazionale?
  7. Le sue condotte sono in contraddizione con le sue politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta?
  8. Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E, se lo esclude, ritiene che una persona che l'opinione comune considera inadatto al Quirinale, possa adempiere alla funzione di presidente del consiglio?
  9. Lei ha parlato di un "progetto eversivo" che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?
  10. Alla luce di quanto è emerso in questi due mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute?
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E ora le domande serie, poste undici anni fa dall'amico fraterno Umberto Bossi su La Padania, a cui ancorora ad oggi non si è avuta risposta:

Primo quesito: lei certamente ricorda che il 26 settembre 1968 la sua società – l’Edilnord Sas – acquistò dal conte Bonzi l’intera area dove di li a breve lei costruirà il quartiere di Milano2. Lei pagò l’area circa 4.250 lire al metro quadrato, per un totale di oltre 3 miliardi. Questa somma, nel 1968 quando lei aveva appena 32 anni e nessun patrimonio familiare alle spalle, è di enorme portala. Oggi, tabelle Istat alla mano, equivarrebbe a 38 miliardi, 739 milioni e spiccioli. Dopo l’acquisto – intendo dire nei mesi successivi – lei apri un gigantesco cantiere edilizio, il cui costo arriverà a sfiorare 500 milioni al giorno, che in circa 4-5 anni porterà all’edificazione di Mlano2 così come è oggi. Ecco la prima domanda: signor Berlusconi, a lei, quando aveva 32 anni, gli oltre 30 miliardi per comprare l’area, chi li diede? Inoltre: che garanzie offri e a chi per ricevere tale ingentissimo credito? In ultimo: il denaro per avviare e portare a conclusione il super-cantiere, chi glielo fornì? Vede, se lei non chiarisce questi punti, si è autorizzati a credere che le due misteriose finanziarie svizzere amministrate dall’avvocato di Lugano Renzo Rezzonico “sue finanziatrici”, così come altre finanziarie elvetiche che entreranno in scena al suo fianco e che tra poco incontreremo, sono paraventi dietro i quali si sono nascosti soggetti tutt’altro che raccomandabili. Si, perché – mi creda signor Berlusconi – nel 1998, oggi, se lei chiarisse una volta per tutte, con nomi e cognomi, chi le prestò tale gigantesca fortuna facendo con questo crollare ogni genere di sospetto e insinuazione sul suo conto, nessuno e dico nessuno si alzerebbe per criticarla sostenendo che lei operò con capitali sfuggiti, per esempio, al fisco italiano e riparati in Svizzera, e rientrati in Italia grazie alla sua attività imprenditoriale. Sarei il primo ad applaudirla, signor Berlusconi, se la realtà fosse questa. Se invece di denaro frutto di attività illecite, si tratò di risparmi onestamente guadagnati e quindi sottratti dai rispettivi proprietari al fisco assassino italiota che grazie a lei ridiventarono investimenti, lei sarebbe da osannare. Parli, signor Berlusconi, faccia i nomi e il castello di accuse di riciclaggio cadrà di schianto.

Secondo quesito: il 22 maggio 1974 – certamente lo ricorda, signor Berlusconi – la sua società “Edilnord Centri Residenziali Sas” compì un aumento di capitale che così arrivò a 600 milioni (4,8 miliardi oggi, fonte Istat). Il 22 luglio 1975 la medesima società eseguì un altro aumento di capitale passando dai suddetti 600 milioni a 2 miliardi (14 miliardi di oggi, fonte Istat). Anche in questo caso, vorrei sapere da dove o da chi sono arrivati queste forti somme di denaro in contanti.

Terzo quesito: il 2 febbraio 1973 lei fondò un’altra società, la Italcantieri Srl. Il 18 luglio 1975 questa sua piccola Impresa diventò una Spa con un aumento di capitale a 500 milioni. In seguito, quei 500 milioni diventeranno 2 miliardi e lei farà in modo di emettere anche un prestito obbligazionario per altri 2 miliardi. Signor Berlusconi, anche in questo caso le chiedo: il denaro in contanti per queste forti operazioni finanziarie, chi glielo diede? Fuori i nomi.

Quarto quesito: lei non può essersi scordato che il 15 settembre 1977 la sua società Edilnord cedette alla neo-costituita “Milano2 Spa” tutto il costruito del nuovo quartiere residenziale nel Comune di Segrate battezzato “Milano2″ più alcune aree ancora da edificare di quell’immenso terreno che lei comperò nel ‘68 per l’equivalente di più di 32 miliardi in contanti. Tuttavia quel 15 settembre di tanti anni fa, accadde un altro fatto: lei, signor Berlusconi, decise il contemporaneo cambiamento di nome della società acquirente. Infatti l’impresa Milano2 Spa iniziò a chiamarsi così proprio da quella data. Il giorno della sua fondazione a Roma, il 16 settembre 1974, la futura Milano2 Spa – come lei senza dubbio rammenta – viceversa rispondeva al nome di Immobiliare San Martino Spa, “forte” di un capitale di lire 1 (un) milione, il cui amministratore era Marcello Dell’Utri. Lo stesso Dell’Utri che lei, signor Berlusconi, sostiene fosse a quell’epoca un «mio semplice segretario personale». Sempre il 15 settembre 1977, quel milione venne portato a 500 e la sede trasferita da Roma a Segrate. Il 19 luglio 1978, i 500 milioni diventeranno 2 miliardi di capitale sociale.
Ecco, anche in questo caso, vorrei sapere dove ha preso e chi le ha fornito tanto denaro contante e in base a quali garanzie.

Quinto quesito: signor Berlusconi, il cuore del suo impero, la notissima Fininvest, certamente ricorda che nacque in due tappe. Partiamo dalle seconda: l’8 giugno 1978 lei fondò a Roma la “Finanziaria d’Investimento Srl” – in sigla Fininvest – dotandola di un capitale di 20 milioni e di un amministratore che rispondeva al nome di Umberto Previti, padre del noto Cesare di questi tempi grami (per lui). I1 30 giugno 1978 il capitale sociale di questa sua creatura venne portato a 50 milioni, il 7 dicembre 1978 a 18 miliardi, che al valore d’oggi sarebbero 81 miliardi, 167 milioni e 400 mila lire. In 6 mesi, quindi, lei passò dall’avere avuto in tasca 20 milioni per fondare la Fininvest Srl a Roma, a 18 miliardi. Fra l’altro, come lei certamente ricorda, la società in questo periodo non possedeva alcun dipendente. Nel luglio del 1979 la Fininvest Srl, con tutti quei soldi in cassa, venne trasferita a Milano. Poco prima, il 26 gennaio 1979 era stata “fusa” con un’altra sua società dall’identico nome, signor Berlusconi: la Fininvest Spa di Milano. Questa società fu la prima delle due tappe fondamentali di cui dicevo poc’anzi alla base dell’edificazione del suo impero, e in realtà di milanese aveva ben poco, come lei ben sa.
Infatti la Fininvest Spa venne anch’essa fondata a Roma il 21 marzo del 1975 come Srl, l’11 novembre dello stesso anno trasformata in Spa con 2 miliardi di capitale, e quindi trasferita nel capoluogo lombardo. Tutte operazioni, queste, che pensò, decise e attuò proprio lei, signor Berlusconi. Dopo la fusione, ricorda?, il capitale sociale verrà ulteriormente aumentato a 52 miliardi (al valore dell’epoca, equivalenti a più di 166 miliardi di oggi, fonte Istat). Bene, fermiamoci qui. Signor Berlusconi, i 17 miliardi e 980 milioni di differenza della Fininvest Srl di Roma (anno 1978) chi glieli fornì? Vorrei conoscere nomi e cognomi di questi suoi munifici amici e anche il contenuto delle garanzie che lei, signor Berlusconi, offrì loro. Lo stesso dicasi per l’aumento, di poco successivo, a 52 miliardi. Naturalmente le chiedo anche notizie sull’origine dei fondi, altri 2 miliardi, della “gemella” Fininvest Spa di Milano che lei fondò nel 1975, anno pessimo per ciò che attiene al credito bancario e ancor peggio per i fondamentali dell’economia del Paese.

Sesto quesito: lei, signor Berluscom, almeno una volta in passato tentò di chiarire il motivo dell’esistenza delle 22 (ma c’è chi scrive, come Giovanni Ruggeri, autore di “Berlusconi, gli affari del Presidente” siano molte di più, addirittura 38) “Holding Italiane” che detengono tuttora il capitale della Fininvest, esattamente l’elenco che inizia con Holding Italiana Prima e termina con Holding Italiana Ventiduesima. Lei sostenne che la ragione di tale castello societario sta nell’aver inventato un meccanismo per pagare meno tasse allo Stato. Così pure, signor Berlusconi, lei ha dichiarato che l’inventore del marchingegno finanziario, che ripeto detiene – sono sue parole – l’intero capitale del Gruppo, fu Umberto Previti e l’unico scopo per il quale l’inventò consisteva – e consiste tutt’oggi – nell’aver abbattuto di una considerevole percentuale le tasse, ovvero il bottino del rapinoso fisco italiota ai suoi danni, con un meccanismo assolutamente legale. Queste, mi corregga se sbaglio, furono le ragioni che addusse a suo tempo, signor Berlusconi, per spiegare il motivo per cui il capitale della Fininvest è suddiviso così.
È una motivazione, però, che a molti appare quanto meno curiosa, se raffrontata – ad esempio – con l’assetto patrimoniale di un altro big dell’imprenditoria nazionale, Giovanni Agnelli, che viceversa ha optato da molti anni per una trasparentissima società in accomandita per detenere e definire i propri beni e quote del Gruppo Fiat.
In sostanza lei, signor Berlusconi, più volte ha ribadito che “dietro” le 22 Holding c’è soltanto la sua persona e la sua famiglia. Non avrò mai più motivo di dubitare di questa sua affermazione quando lei spiegherà con assoluta chiarezza le ragioni di una sua scelta a dir poco stupefacente.
Questa: c’è un indirizzo – a Milano – che lei, signor Berlusconi conosce molto bene. Si tratta di via Sant’Orsola 3, pieno centro cittadino. A questo indirizzo nel 1978 nacque una società fiduciaria – ovvero dedita alla gestione di patrimoni altrui – denominata Par.Ma.Fid.
A fondarla furono due commercialisti, Roberto Massimo Filippa e Michela Patrizia Natalini.
Detto questo, certo rammenta, signor Berlusconi, che importanti quote di diverse delle suddette 22 Holding verranno da lei intestate proprio alla Par.Ma.Fid. Esattamente il 10 % della Holding Italiana Seconda, Terza, Quarta, Quinta, Ventunesima e Ventiduesima, più il 49% della Holding Italiana Prima, la quale – in un perfetto gioco di scatole cinesi – a sua volta detiene il 100% del capitale della Holding Italiana Sesta e Settima e il 51% della Holding Italiana Ventiduesima.
Vede, signor Berlusconi, dovrebbe chiarirmi per conto di chi la Par.Ma.Fid. gestirà questa grande fetta del Gruppo Fininvest e perché lei decise di affidare proprio a questa società tale immensa fortuna. Infatti lei – che è un attento lettore di giornali e ha a sua disposizione un ferratissimo nonché informatissimo staff di legali civilisti e penalisti – non può non sapere che la Par.Ma.Fid. è la medesima società fiduciaria che ha gestito – esattamente nello stesso periodo – tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e grande riciclatore di capitali per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bonn, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Canneto Gaeta e altri boss – di area corleonese e non – operanti a Milano nel traffico di stupefacenti a livello mondiale e nei sequestri di persona.
Quindi, signor Berlusconi, a chi finivano gli utili della Fininvest relativi alle quote delle Holding in mano alla Par.Ma.Fid.? Per conto di chi la Par.Ma.Fid. incassava i dividendi e gestiva le quote in suo possesso? Chi erano – mi passi il termine – i suoi “soci”, signor Berlusconi, nascosti dietro lo schermo anonimo della fiduciaria di via Sant’Orsola civico 37. Capisce che in assenza di una sua precisa quanto chiarificatrice risposta che faccia apparire il volto – o i volti – di coloro che per anni incasseranno fior di quattrini grazie alla Par.Ma.Fid., ovvero alle quote della Fininvest detenute dalla Par.Ma.Fid. non si sa per conto di chi, sono autorizzato a pensare che costoro non fossero estranei all’altro “giro” di clienti contemporaneamente gestiti da questa fiduciaria, clienti i cui nomi rimandano direttamente ai vertici di Cosa Nostra.

Settimo quesito: è universalmente noto che lei, signor Berlusconi, come imprenditore è “nato col mattone” per poi approdare alla televisione. Proprio sull’edificazione del network tivù è incentrato questo punto. Lei, signor Berlusconi, certamente ricorda che sul finire del 1979 diede incarico ad Adriano Galliani di girare l’Italia ad acquistare frequenze tivù. Lo scopo – del tutto evidente – fu quello di costituire una rete di emittenti sotto il suo controllo, signor Berlusconi, in modo da poter trasmettere programmi, ma soprattutto pubblicità, che così sarebbe stata “nazionale” e non più locale. La differenza dal punto di vista dei fatturati pubblicitari, ovviamente, era enorme. Fu un piano perfetto. Se non che, Adriano Galliani invece di buttarsi a capofitto nell’acquisto di emittenti al Nord, iniziò dal Sud e precisamente dalla Sicilia, dove entrò in società con i fratelli Inzaranto di Misilmeri (frazione di Palermo) nella loro Retesicilia Srl, che dal 13 novembre 1980 vedrà nel proprio consiglio di amministrazione Galliani in persona a fianco di Antonio Inzaranto. Ora lei, signor Berlusconi, da imprenditore avveduto qual è, non può non avere preso informazioni all’epoca sui suoi nuovi soci palermitani, personaggi molto noti da quelle parti per ben altre questioni, oltre la tivù. Infatti Giuseppe Inzaranto, fratello di Antonio nonché suo partner, è marito della nipote prediletta di Tommaso Buscetta. No, sia chiaro, non mi riferisco al “pentito Buscetta” del 1984, ma al super boss che nel ‘79 è ancora braccio destro di Pippo Calò e amico intimo di Stefano Bontale, il capo dei capi della mafia siciliana.
Quindi, signor Berlusconi, perché entrò in affari – tramite Adriano Galliani – con gente di questa risma? C’è da notare, oltre tutto, che i fratelli Inzaranto sono di Misilmeri. Le dice niente, signor Berlusconi, questo nome? Guardi che glielo sto chiedendo con grande serietà. Infatti proprio di Misilmeri sono originari i soci siciliani della nobile famiglia Rasini che assieme alla famiglia Azzaretto – nativa di Misilmeri, appunto – fondò nel 1955 la banca di Piazza Mercanti, la Banca Rasini.
Giuseppe Azzaretto e suo figlio, Dario Azzaretto, sono persone delle quali lei, signor Berlusconi, can ogni probabilità sentiva parlare addirittura in casa da suo padre. Gli Azzaretto erano – con i Rasini i diretti superiori di suo padre Luigi, signor Berlusconi. Gli Azzaretto di Misilmeri davano ordini a suo padre, signor Berlusconi, che per molti anni fu loro procuratore, il primo procuratore della Banca Rasini. Certo non le vengo a chiedere con quali capitali – e di chi – Giuseppe Azzaretto riuscì ad affiancarsi nel 1955 ai potenti Rasini di Milano, tenuto conto che Misilmeri è tutt’oggi una tragica periferia della peggiore Palermo, però che a lei Misilmeri possa risultare del tutto sconosciuta, mi appare inverosimile. Ora le ripeto la domanda: si informò sulla “serietà” e la “moralità” dei nuovi soci – il clan Inzaranto – quando tra il 1979 e l’80 diveranno parte fondamentale della sua rete tivù nazionale?

Ottavo quesito: certo a lei, signo Berlusconi, il nome della società immobiliare Romana Paltano non può risultare sconosciuto.
È impossibile non ricordi che nel 1974 la suddetta, 12 milioni di capitale, finì sotto il suo controllo amministrata da Marcello Dell’Utri, perché proprio sui terreni di questa società lei darà corso all’iniziativa edilizia denominata Milano3.
Così pure ricorderà che nel 1976 l’esiguo capitale di 12 milioni aumenterà a 500; e che il 12 maggio del 1977 salirà ulteriormente a 1 (un) miliardo, e che cambierà anche la sua denominazione in Cantieri Riuniti Milanesi Spa. Come al solito, vengo subito al dunque: anche in questo ennesimo caso, chi le fornì, signor Berlusconi, questi forti capitali per aumentare la portata finanziaria di quella che era una modestissima impresa del valore di soli 12 milioni quando la acquistò?

Nono quesito: lei, signor Berluscom, certamente rammenta che il 4 maggio 1977 a Roma fondò l’Immobiliare idra col capitale di 1 (un) milione. Questa società, che oggi possiede beni immobili pregiatissimi in Sardegna, l’anno successivo – era il 1978 – aumentò il proprio capitale a 900 milioni. Signor Berlusconi, da dove arrivarono gli 899 milioni (4 miliardi e 45 milioni d’oggi, fonte Istat) che fecero la differenza?

Decimo quesito: signor Berlusconì, in più occasioni lei ha usato per mettere in porto affari di vario genere – l’acquisto dell’attaccante Lentini dal Torino Calcio, ad esempio – la finanziaria di Chiasso denominata Fimo. Anche in questo caso, come nel precedente riferito alla Par.Ma.Fid., lei ha scelte una società fiduciaria – questa volta domiciliata in Svizzera – al cui riguardo le cronache giudiziarie si erano largamente espresse. Tenuto conto della potenza dello staff informativo che la circonda, signor Berlusconi., mi appare del tutto inverosimile che lei non abbia saputo, circa la Fimo di Chiasso, che è stata per lungo tempo il canale privilegiato di riciclaggio usato da Giuseppe Lottusi, arrestato il 15 novembre del 1991 mentre “esportava” forti capitali della temibile cosca palermitana dei Madonia. Così pure non le sarà sfuggito che Lottusi venne condannato a 2 anni di reclusione per quei reati. Tuttora è in carcere a scontare la pena. Ebbene, signor Berlusconi, se quel gangster fini in galera il 15 novembre del ‘91, nella primavera del 1992 – cioè pochi mesi dopo quel fatto che campeggiò con dovizia di particolari, anche circa la Fimo, sulle prime pagine di tutti i giornali – il suo Milan “pagò” una forte somma “in nero” – estero su estero – per la cessione di Gianluigi Lentini, e usò per la transazione proprio la screditatissima Fimo, fiduciaria di narcotrafficanti internazionali. Perché, signor Berlusconi?

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INOLTRE:

E' vero che la vera ragione del suo viaggio il Libia, pagato a spese degli italiani, è la recente acquisizione della televisione satellitare tunisina Nessma da parte di Mediaset e da Quinta Communications, la società di Tarak Ben Ammar di cui è socio il gruppo Fininvest e nel cui capitale è entrata, tramite la Lafitrade, pure Tripoli?

Messna ha un mercato di 80 milioni di telespettatori da conquistare. Gli spettatori hanno quindi potuto apprendere direttamente dal proprietario della tv di come la politica del governo italiano (quella gestita dall'altro Berlusconi, il politico) sia tesa ad “aumentare i canali di ingresso legali” e a garantire, ai migranti, “casa, lavoro, istruzione” e - udite udite - “l’apertura di tutti i nostri ospedali alle loro necessità”, perché “pure gli italiani sono stati emigranti, e quindi devono aprire il loro cuore a chi oggi viene in Italia”.


mercoledì 29 luglio 2009

Miracoli aquilani part two


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di GIUSEPPE CAPORALE

In quasi tutti i 49 paesi colpiti dal sisma
i detriti non sono stati portati via

Scontro sindaci-Bertolaso
"Sulle macerie lavori a rilento"

Il sottosegretario: "A settembre chiuderemo le tendopoli,
non si può pretendere che faccia tutto la Protezione civile"


L'AQUILA - Le macerie del terremoto del 6 aprile sono ancora lì, in quasi tutti i 49 paesi colpiti dal sisma. Ferme da 113 giorni. Dopo la vicenda di Castelnuovo (riportata ieri da Repubblica), si scopre che anche in altri borghi gravemente danneggiati, la situazione è quantomeno simile, specie a Villa Sant'Angelo, Fossa, Sant'Eusanio e Tione degli Abruzzi (anche a causa degli ingenti danni). Ogni Comune dell'area del cratere, nel suo territorio, ha provveduto a pulire esclusivamente le vie d'accesso per la circolazione ed ha isolato la "zona rossa", lasciando così gran parte delle macerie al loro posto.

Alcune amministrazioni locali hanno anche predisposto siti temporanei per lo stoccaggio, ma i lavori, comunque, procedono a rilento. Non solo, all'Aquila - da giorni - è scoppiato un "caso macerie": la giunta guidata da Massimo Cialente ha affidato lo smaltimento di un milione e 500mila metri cubi di "rifiuti derivanti dai crolli connessi all'evento sismico", ad una sola ditta. Senza gara d'appalto. "Un business da 50 milioni di euro - accusa l'opposizione guidata dal capogruppo del Pdl, Gianfranco Giuliane - quanto meno sospetto per le procedure adottate". Dopo che la Guardia di Finanza ha acquisito gli atti della vicenda per approfondimenti, l'incarico è stato revocato.

E sulla vicenda "ricostruzione e macerie", ieri, è intervenuto anche il capo del Dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso: "Noi a settembre chiuderemo le tendopoli, riapriremo le scuole, ma non si può pretendere che faccia tutto la Protezione Civile. Anche le altre amministrazioni ed i cittadini si devono impegnare per affrontare i problemi e risolverli".

Questo ha risposto a margine dell'inaugurazione della strada per la funivia del Gran Sasso (risistemata dall'Esercito) alla presenza del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Ed ha aggiunto: "La Protezione Civile ha emanato nei tempi stabiliti le ordinanze. Tocca però ad altri applicarle e ciò non sta avvenendo".

Secca e tecnica la replica del sindaco Cialente: "Al Comune dell'Aquila sono arrivati 20 milioni di euro, per far fronte alle domande di intervento delle case classificate A, B e C. Per le sole A, secondo le nostre stime ne servono 120. E poi: il prezziario regionale è incompleto; siamo sommersi da richieste di revisione per case classificate agibili. Ed i rimborsi per la ricostruzione leggera hanno procedure poco chiare".

Intanto l'1 agosto prenderà il via un censimento. Spiega Bertolaso: "Metteremo gli aquilani che sono ancora senza alloggio davanti a tre scelte: trasferirsi nelle case che stiamo costruendo, oppure andare ospiti presso parenti o amici. O andare in affitto in case che può trovare la Protezione Civile e si può eventualmente procedere a requisire le case sfitte".

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di Vincenzo Bisbiglia

Ricostruzione L'Aquila.
I cittadini devono anticipare i soldi


L'AQUILA - La ricostruzione dell’Abruzzo dopo il terremoto? Ci pensa lo Stato, con i soldi dei terremotati. Il cittadino de L’Aquila che vorrà effettuare i lavori di ristrutturazione ed in molti casi di ricostruzione della propria abitazione, dovrà infatti anticipare tutta la somma e, intanto, fare richiesta di rimborso al Governo che, quando questo sarà effettuato, provvederà a restituire la somma al netto dell’Iva.

Questo è quanto si evince dagli indirizzi per l’esecuzione degli interventi firmata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Guido Bertolaso.
Al punto 10 dell’ordinanza, infatti, alla voce “documentazione dei lavori eseguiti, si richiedono testualmente “documenti di spesa costituiti da: computo metrico estimativo redatto sulla base del prezziario regionale; fatture di pagamento; documenti attestanti l’avvenuto pagamento delle fatture (unico valido è la copia del bonifico, ndr)” ed inoltre “rapporto fotografico dello stato post-operam e delle fasi lavorative, con relativa planimetria in cui sia indicato il punto di vista di ciascuna immagine fotografica”. In definitiva, fai eseguire i lavori, paga l’architetto, gli operai, i permessi e quant’altro e, infine, fai “richiesta” per ottenere il “contributo” (al netto dell’iva, non dimentichiamolo).

Adesso proviamo a fare un po’ di conti e prendiamo il caso, uno dei tanti, di una palazzina de L’Aquila semidistrutta dal terremoto. Mettiamo il caso che i danni totali ammontino a circa 1 milione e mezzo di euro e che questa palazzina contenga sei appartamenti: ognuno dei proprietari dovrà anticipare allo stato la bellezza di 250mila euro, probabilmente di più del valore della casa se fosse andata sul mercato prima del sisma. Ciò vuol dire che i proprietari degli appartamenti, dopo essersi accollati un mutuo nel migliore dei casi ventennale per quello che è diventato un ammasso di macerie, dovranno contrarre altri debiti (semmai gli verranno concessi dalle banche) per ricostruirli.
Insomma, pian piano sta venendo a galla l’ennesima bugia del governo Berlusconi, l’ennesima azione populista di un presidente del Consiglio tuttofare che si spreca in allettanti parole dai salotti compiacenti della tv di Stato che imbroglia gli italiani e gli fa trovare queste “divertenti” sorpresine.

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di Anna

Di tetti sulla testa, ritardi ed indennizzi


Prima seduta ordinaria dopo il terremoto quella che si è tenuta ieri mattina presso l'aula del Consiglio Regionale, nel bellissimo palazzo dell'Emiciclo, sulla villa comunale di L'Aquila. Reso di nuovo agibile con poco lavoro. Ha esordito il Sindaco Cialente, rendendo finalmente noto a tutti ciò che i comitati cittadini vanno sbandierando dalla prim'ora: lo scellerato progetto C.A.S.E. non sarà sufficiente a mettere un tetto sulla testa a tutti gli sfollati. 12.500 i nuclei familiari che rimarranno senza casa per l'inverno. Fallimento ratificato, quindi: è stata ammessa la necessità di soluzioni abitative temporanee, in legno. Scempio compiuto, soldi intascati, terreno reso fertile per le associazioni mafiose, aree agricole rese per miracolo edificabili e cittadinanza disgregata fra tendopoli e alberghi. Una comunità annientata. Dopo quattro mesi in alloggi di fortuna, gli sfollati si sentono dire che avranno case temporanee. Non sarebbe stato il caso di approntare tali abitazioni per tutti e velocemente, in modo da tenere unita la comunità? Se così fosse stato, oggi, tutti saremmo nella nostra città, a minor prezzo per le tasche dei contribuenti. E' apparso chiaro che, se tutti avessimo agito, cittadini ed istituzioni locali, in coesione ed energicamente, e con decisione, forse, la Protezione Civile non avrebbe fatto di noi e dei nostri luoghi terra di conquista. Parlando di ricostruzione leggera, quella che vede le abitazioni rese agibili con lavori di medio e piccolo onere finanziario, i ritardi appaiono vergognosi. L'ordinanza del capo indiscusso dott. Bertolaso è stata firmata il 25 maggio. E' uscita il 6 giugno, ma le linee guida da intraprendere sono state rese note dall'alto solo il 23 luglio, pur decorrendo dal 6 giugno l'inappelabilità dei novanta giorni per la presentazione delle domande di contributo. A tutt'oggi, non è stato ancora designato un ufficio preposto a istruire tali pratiche. Di fatto, ancora nessuno ha iniziato a ricostruire, poichè i cavilli burocratici sono talmente macchinosi da disorientare anche il tecnico più scaltro. Se non ammanicato con chi di dovere, e dallo stesso indicato alla cittadinanza. La Regione Abruzzo non lavora insieme con il Comune di L'Aquila e, a tutt'oggi, non ha chiarito quanto sia stato stanziato, all'interno del piano finanziario, per il territorio aquilano e per le sue attività produttive. Quando Gianni Chiodi, presidente della Regione Abruzzo, ha preso la parola ed ha iniziato un breve quanto sterile excursus sulle vicende attraversate dalla popolazione aquilana, vicende che tutti gli astanti ben conoscevano, il dissenso fra i convenuti in sala si è reso palese. Il Chiodi, non amando, come il suo capo e maestro, chi non lo osanna, ha abbandonato il Consiglio, causando il successivo scioglimento dei lavori per mancanza del numero legale. E noi qui, ad aspettare che si decida delle nostre vite. Ci rendiamo conto che ci aspetta una battaglia di diritti. Una lotta per la difesa del nostro territorio, per sentirci ancora figli della nostra terra. E questo nonostante un governo che ci penalizza vergognosamente. E cerca di destabilizzarci.
Nel frattempo, oggi, a quasi quattro mesi dal sisma, è giunta per mio marito e per me la prima rata del danaro che ci ripaga per aver scelto la sistemazione autonoma. Riguarda il solo mese di aprile. Quel mese che ci ha visto dormire in automobile, e mangiare panini nei chioschi di fortuna. Il confortante importo è stato, per due, di ben centosessanta euro. E già, il terremoto ci ha distrutti il 6 aprile. Ci hanno decurtato i primi sei giorni. Cento euro a testa, diviso trenta, per ventiquattro : uguale ottanta euro. Stasera si va a ballare. Di questo passo, entro la fine dell'anno, ci avranno indennizzati con ben cinquecentottanta euro a testa. Pari a sei mesi di alloggio e vitto autonomi. Già vi ho parlato dei cinquanta euro giornalieri che uno sfollato in tenda o in albergo costa agli Italiani. Abbiamo fatto risparmiare allo stato ed ai contribuenti tutti 16.240 euro. Dicasi sedicimiladuecentoquaranta. Che non sono andati ad ingrassare albergatori compiacenti e vertici della Protezione Civile. Ci aspettiamo un applauso......

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di Emilia Urso Anfuso

La ricostruzione? La pagano i terremotati.
I rimborsi? Poi…


I primi inganni del Maxi Decreto N° 39/2009 sulla ricostruzione in Abruzzo, si palesano. Prima di tutto agli Abruzzesi, ed i Media nazionali continuano ad occultare notizie ed informazioni preziose a tutti i cittadini italiani, relativamente al post sisma. Si deve infatti riflettere su un punto. Se da un lato in questo caso abbiamo i protagonisti passivi del fatto – i terremotati – è necessario pensare che, ogni terremotato abruzzese potevamo o potremmo un giorno essere noi. Con la conseguenza di ritrovarci nelle stesse identiche condizioni dei nostro connazionali che attualmente hanno un bel da fare per far si che vengano riconosciute loro, dignità ed accuratezza delle operazioni di ricostruzione.

Il punto in questione, è la nota dolente relativa agli stanziamenti per la ricostruzione. Ricordo ai lettori che, pur con promesse verbali di ben otto miliardi per la ricostruzione in Abruzzo, da parte del mondo politico, la realtà dei fatti palesa – all’interno del Decreto in questione – una somma di circa cinque miliardi, da trovare e da utilizzare da qui al 2032. C’è poco da scialare e da dormire sonni tranquilli.

Questi stanziamenti appunto, sembra che dovranno intanto esser messi dagli stessi terremotati. Per intero. Che potranno poi, richiedere allo Stato il risarcimento delle somme utilizzate per ricostruire il proprio immobile distrutto dal sisma e tramite presentazione di una serie di documenti.

Appare incredibile ma nella sua bizzarria, questa è la realtà dei fatti. Il denaro promesso come si dubitava, non c’è nelle casse dello Stato, che forse sperava davvero in un extra gettito fornito da ulteriori giochi di fortuna, come gratta e vinci e simili, così come si legge nel Decreto N°39.

Nel documento firmato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guido Bertolaso, relativo alle norme per l’esecuzione degli interventi, si legge infatti che i cittadini dovranno presentare: “documenti di spesa costituiti da: computo metrico estimativo redatto sulla base del prezziario regionale; fatture di pagamento; documenti attestanti l’avvenuto pagamento delle fatture (unico valido è la copia del bonifico)” ed inoltre “rapporto fotografico dello stato post-operam e delle fasi lavorative, con relativa planimetria in cui sia indicato il punto di vista di ciascuna immagine fotografica”.

All’atto pratico, i terremotati dovranno prendersi cura a loro spese della ricostruzione dell’immobile disastrato, pagare quindi ogni fattura ed esibire poi la documentazione per intero, comprese fatture pagate e certificazione di agibilità da parte dell’Impresa edile costruttrice. Ed attendere poi, la restituzione degli importi pagati, ammesso che lo Stato sia poi in grado di aprire i cordoni della borsa al momento opportuno per risarcire tutti.

C’è da aggiungere peraltro, che molte persone che hanno subito gravi danni strutturali all’abitazione, stavano pagando – al momento del sisma – un mutuo proprio per pagare l’immobile acquistato. Con questa decisione quindi, non si fa altro che aggiungere danno al danno. In molti, hanno visto crollare in pratica, un debito da pagare. Oggi si ritrovano a pagarlo tre volte.

Questa nota dolente, va ad aggiungersi peraltro ad un’altra. Ad oggi, non è stato definito nulla di nuovo relativamente la decisione già presa relativamente al fatto che, i cittadini abruzzesi debbano riprendere a pagare regolarmente le tasse a partire da gennaio 2010. Appena otto mesi di tempo per respirare. In una regione in cui, moltissime attività commerciali, industriali e di servizi, sono ferme dal 6 Aprile, giorno del terribile sisma.

In altri casi, in altri terremoti, lo Stato ha garantito un lasso di tempo più ampio, proprio in virtù del fatto che, al disagio della distruzione non venisse fatto carico ai cittadini straziati dal sisma anche quello delle gabelle da tornare a pagare, prima ancora di riassestarsi economicamente attraverso la ripresa del lavoro.

Nel bailamme dei fatti e degli eventi che tengono incollati i cittadini italiani alla televisione ed alla lettura delle testate nazionali, grande è la confusione normativa e grande la non corresponsione di realtà alle garanzie date verbalmente.

Questo disastro naturale, sta svelando un disastro che promette di divenire ancor più grave. La totale mancanza di concretezza e sostegno da parte dello Stato nei confronti dei cittadini, che una volta in più, stanno vivendo una società aberrante che trascende le fondamentali necessità umane e da ampio respiro ad azioni nettamente contrarie in ordine di dignità e Democrazia.

Parlarne senza mai perdere il controllo della situazione, è un dovere che noi giornalisti non possiamo permetterci di dimenticare.