lunedì 21 marzo 2011

La beffa delle scorie | Intervista ad Andrea Poggio vicedirettore nazionale di Legambiente


di Roberto Farneti
Liberazione 20/03/2011

Soldi pubblici buttati via. Per comprendere l'inconsistenza del sogno nucleare italiano, oggi riproposto dal governo Berlusconi, basta andare a guardare come è stato gestito il problema dello smaltimento delle scorie in questi anni. Ne sono passati più di venti, dal referendum che portò alla chiusura delle centrali in Italia. Da allora lo Stato ha speso miliardi, ma i bidoni contenenti i residui radioattivi sono più o meno ancora lì, dove sono stati prodotti. Un po' perchè non sanno dove metterli. Ma, soprattutto, perché una soluzione definitiva per risolvere questo problema ancora non c'è e nessuno sa se e quando potrà essere trovata.

Nel frattempo, gli italiani sono ancora alle prese con "l'eredità radioattiva del vecchio programma atomico", descritta in un dossier pubblicato nel novembre scorso da Legambiente. Andrea Poggio, vicedirettore dell'associazione, sottolinea le responsabilità della Sogin, l'azienda pubblica, controllata al 100% dal ministero dell'Economia, incaricata di smantellare le centrali e di provvedere al trattamento e allo stoccaggio delle scorie. «L'unica cosa che sostanzialmente ha fatto in questi anni - denuncia Poggio - è stato prendere tempo, in attesa di un ritorno del nucleare».

Un "dolce far niente" costato miliardi di soldi pubblici. «Il referendum antinucleare - ricorda il dirigente di Legambiente - è datato 1987. Visto l'esito, il governo decide l'arresto delle centrali nucleari in funzione, a partire dalla più grossa, quella di Caorso, e l'avvio della dismissione di tutti i siti. Per l'interruzione e la riconversione della centrale di Montalto di Castro, l'Enel ottiene un risarcimento dallo Stato italiano pari a oltre 5 miliardi di euro. A questa spesa - prosegue Poggio - si sommano i 400 milioni di euro che ogni anno famiglie e imprese versano alla Sogin, tramite la bolletta elettrica nazionale, proprio per finanziare lo smantellamento definitivo delle centrali e la bonifica di quelle aree».

La Sogin però si difende. Dice che ci vorrebbe un deposito nazionale delle scorie, ma che il governo non ha ancora nemmeno individuato l'area dove costruirlo. Anche perché quando è stato proposto di farlo in Basilicata, a Scanzano Jonico, è scoppiata una rivolta.

Sono due i metodi utilizzati dalla Sogin per fare melina in questi anni, approfittando dei soldi delle nostre bollette. Uno è stato quello di svolgere in maniera approssimativa le analisi per l'individuazione dei siti da destinare al trattamento e allo stoccaggio delle scorie. Per cui è stato gioco facile per Regioni, associazioni ambientaliste e cittadini presentare ricorsi fondati con cui sono state bloccate le scelte più assurde e pericolose. L'altro è stato la ricerca di pretesti per non chiudere alcun sito nucleare. Figurarsi che a Caorso hanno aperto una scuola di formazione, organizzata dalla Sogin stessa e dall'Enel, tanto per mantenere in piedi l'impianto nella speranza un giorno di poterlo riaprire.

In un recente convegno a Roma, Claudio Pescatore, responsabile per la gestione dei rifiuti radioattivi dell'Agenzia dell'Energia Nucleare dell'Ocse ha sostenuto che «la maggior parte dei Paesi Ocse ha già individuato soluzioni sicure» per i rifiuti radioattivi. E' così?

Questo forse vale per i rifiuti a bassa radioattività, ad esempio quelli ospedalieri. Lo stoccaggio definitivo delle scorie è un problema irrisolto in tutto il mondo.

Secondo Pescatore, i residui che esauriscono la propria attività nel lungo termine possono essere stocccati in depositi geologici sicuri

Mi piacerebbe sapere da questo signore quale Stato democratico abbia già individuato un deposito di scorie definitivo. Mi risulta che la Germania stia utilizzando provvisoriamente, per un tempo di vent'anni, vecchie miniere di sale. Si tratta in ogni caso, come negli Stati Uniti, di sistemi di stoccaggi transitori.

In un rapporto Onu del 2005 si legge che «la costa della Somalia è stata usata per anni come una grande discarica da altri Paesi che dovevano sbarazzarsi di scorie tossiche, radioattive o nucleari», approfittando della guerra civile che, dal 1991, ha messo in ginocchio il Paese africano.

E' inquietante pensare che in questi anni navi dei veleni partite dall'Italia siano approdate sulle coste somale stoccando abusivamente i rifiuti in quel paese, malgrado ci sia una impresa di Stato incaricata di gestire questo problema. Se nonostante tutti i soldi pubblici che spendiamo non riusciamo a evitare che la mafia si impadronisca di questo business, c'è davvero di che essere preoccupati per il futuro nucleare dell'Italia.

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sabato 5 marzo 2011

TG da paura

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"Salve a tutti, mi stavo domandando se anche a voi il telegiornale e in generale tutte le trasmissioni che si occupano di cronaca nera, grigia e tutti gli altri colori sfigati, produce un effetto d'ansia come quello da cui mi sento eprvadere io!!!". Così scrive "Mandarino" su un forum di discussione dedicato all'ansia. Gli risponde l'utente "Diverso": "A me è già un po' di tempo che il telegiornale dà fastidio... tanto fastidio. I telegiornali ti impallano il cervello... sangue, morte, sangue, morte... poi spiaggia e tintarella e mode... sangu, morte, sangue... e calendari, saldi, tette rifatte". Esagerati questi commenti su internet? Stando alla radiografia dell'Osservatorio di Pavia con Demos & PI sulla rappresentazione mediatica della sicurezza, hanno ragione. I presunti organi di informazione televisiva nazionale italiana primeggiano a livello europeo nel dolore-show alternato a superficialità guardona. Horror mixato al gossip. Questo il cocktail servito quotidianamente dai principlali Tg nazionali in prima serata, compresi quelli pagati coi soldi dei cittadini.

PASSIONE CRIMINALE E PETTEGOLA
Dopo un certo affievolimento, il fenomeno è ripreso violentemente. Un dato su tutti: in soli 4 mesi sono stati capaci di ammorbare e molestare la cena del pubblico sparando ben 867 notizie sulla povera Sarah Scazzi, la ragazzina di Avetrana, nei Tg di prima serata. Il caso della scomparsa della piccola Yara Gambirasio in 35 giorni, è stato strillato dai Tg di punta ben 317 volte. Il Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, l'uomo più potente del mondo, nell'intero 2010 ha avuto 1.602 notizie sulle edizioni principali dei 7 Tg nazionali, rileva la società di analisi sui media Vidierre. Gli stessi Tg hanno dato 5.170 notizie di criminalità tra gennaio e dicembre 2010. Ripiombando così nel tunnel morboso del 2007, quando il caso Cogne (al quale nel 2002 furono dedicate 2.032 notizie) e l'omicidio della signora Reggiani fecero schizzare questo tipo di informazioni ad un totale di 5.827, sempre in prima serata su Rai e Mediaset. A tanto veleno vengono sempre più affiancate "notizie" di costume e società. E il passo dal cronista al tronista è breve: al top della telesuperficialità c'è Studio Aperto, dove una su 5 riguarda la cronaca "soft", cucina, vip e altre amenità. Seguono sul podio della vacuità il Tg4 e il Tg Uno.

PERCHE' COSI' LONTANI DALLA VITA E DALLE COSE SERIE?
Questo mondo sbirciato dalla serratura che crea emergenze a suon di delitti-reality è lontano dalla realtà, dalle vere priorità delle persone e da ciò che ritengono importante: disoccupazione, situazione economica, costo della vita e sanità sono i temi più a cuore della gente. Per il 65% degli italiani - rileva inoltre l'indagine dell'Osservatorio europeo sulla sicurezza - tra le cose da affrontare con urgenza al primo posto ci sono i temi economici, e solo il 5% vede la criminalità come emergenza. E, se proprio si vuol stare sulle paure, quelle che più hanno addosso gli italiani riguardano nell'ordine la distruzione dell'ambiente, il futuro dei figli, la criminalità organizzata (non quella minuta e da thriller che sparano i Tg), la sicurezza dei cibi, il lavoro e la salute. 6 su10 chiedono risposte sul lavoro e crisi, l'indice delle paure legate alla criminalità è sceso dal 43% del 2007 all'attuale 33% e questi gli rifilano stupri, violenze, ricette, sfilate e pettegolezzi! Oppure politici che parlano senza farsi capire. Studio Aperto, Tg5 e Tg Uno mettono i fatti criminali al primo posto nell'ultimo quadrimestre 2010. 12 notizie su 100 al Tg Uno - pagato coi soldi dei cittadini - sono "criminali" e circa 13 di "costume e società". Cioè una notizia su 4 è distante dalla vita della gente, con l'avvilente primato internazionale: tra i notiziari dei servizi pubblici di Italia, Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna analizzati dall'Osservatorio di Pavia, il Tg Uno è quello più appassionato di cronaca nera e delitti: nel 2010 ha dedicato oltre 1.000 notizie a queste tragedie in prima serata, il doppio rispetto al Tg pubblico spagnolo, 3 volte tanto quello inglese, 4 volte in più di quello francese e 18 volte rispetto al Tg pubblico tedesco. Imbattibile però è Italia Uno: a Studio Aperto da settembre a dicembre scorsi quasi un titolo su 3 era di criminalità.

CARO GIORNALISTA, MERITI DI PIU'
Ma davvero chi lavora nei Tg vuole questo? Anni e anni a sgobbare, o sgomitare, per finire a strillare titoli da film dell'horror, a lanciare "sceneggiature" tra il fotoromanzo e il reality show? O fare il presentatore di ricette culinarie, scovare corna, bambolotte siliconate a caccia di pruriti telecomandati. Chi fa questo mestiere merita di occuparsi di cose normali e serie e chi guarda il Tg merita notizie normali, cioè attinenti alla sua vita, che parlino del mondo, delle cose che contano.
Non si tratta di dire tutti i giorni che 24 mila bimbi quotidianamente muoiono di fame, ma almeno di non disturbare quelli dell'opulento Bel Paese e di raccontare ai loro genitori fatti, persone, storie per la vita. Sì dice che la stampa funziona se punta sulle tre "S": sesso, soldi, sangue. Gli italiani hanno un alfabeto molto più ampio e una grammatica molto più bella e normale.

MA QUALE CRIMINE?
Quanti Tg hanno detto che i dati sulle emissioni inquinanti dell'inceneritore di Colleferro(nel Lazio) venivano truccati isstematicamente via internet?

Sui reati ovviamente occorre informare. E qui c'è un grosso inganno: i delitti di sangue - per quanto dolorosi e nocivi - coprono altri reati e comportamenti ben più dannosi. Avetrana, Erika e Omar, Sarah, Cogne e Franzoni, Garlasco, Gravina di Puglia, il "piccolo Tommy", Amanda e Meredith, Unabomber, Elisa Claps... a tutti dicono qualcosa, sono di casa. Ma altri nomi di personaggi accusati e magari condannati per reati anche molto gravi sono degli illustri sconosciuti. Perché non c'è la stessa attenzione mediatica su mafie e reti politico-affaristiche che stanno dissanguando il Paese? Basti pensare alla cricca degli appalti truccati: quella piovra pagata dai cittadini che, ad esempio, ha messo le mani sui cantieri per costruire la scuola dei Marescialli dei Carabinieri a Firenze e su uffici delle massime istituzioni e persino dei servizi segreti. E gli sprechi e gli intrighi delal casta che depaupera la sanità di tutti, toglie l'acqua dal controllo pubblico e non è capace di garantire strade sicure? La Guardia di Finanza informa che l'aumento delle denunce per fatti di corruzione e concussione accertati nel 2009 ha raggiunto, rispettivamente, il 229% e il 153% rispetto all'anno precedente. Quanti Tg hanno detto che i dati sulle emissioni inquinanti dell'inceneritore di Colleferro (nel Lazio) venivano truccati sistematicamente via internet? 7 italiani su 10, rileva il Rapporto dell'Osservatorio di Pavia, nel 2010 sentono molto più grave la criminalità organizzata (mafia, 'ndrangheta, camorra et similia) e avvertono meno pericolo nei crimini non mafiosi e simili. Crea più insicurezza e danni economici, ambientali e sociali non fare la raccolta differenziata che una rapina e le tanti frodi in giacca e cravatta. Ma non si dice in tv.

Francesco Buda

sabato 29 gennaio 2011

Egitto, sfida al regime

Da "Il Corriere della Sera" di sabato 29 gennaio 2011

Egitto, sfida al regime
Il raìs: resto al potere

Migliaia di persone in piazza 5 morti al Cairo, 13 a Suez
Mubarak «dimette» il governo

DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO - Notiziario delle ore 14, radio del regime: Ahmed Abu al Gheit, ministro degli Esteri, è in visita ad Addis Abeba; il Libano ha un nuovo governo; in Tunisia le proteste continuano. In strada la prima carica colpisce con un tiro di rimbalzo, un'ora dopo mezzogiorno, alla fine delle preghiere. Il bussolotto schizza contro la volta del cavalcavia e rotola in mezzo alla gente. Il fumo aspro si mischia all'odore delle cipolle che tutti tengono sotto al naso, fermano le lacrime con lacrime meno amare e sono pure la pianta nazionale, stavano disegnate sulle tombe ai tempi dei faraoni.
Il corteo preme verso piazza Giza. È lì, nella grande moschea del quartiere popolare, che ha pregato Mohammed El Baradei. E lì che il Nobel per la pace si rifugia, quando la polizia cerca di arrestarlo. È tornato per «stare a fianco del popolo» - dice - e come il popolo resta infradiciato da un getto sparato dalla torretta di un blindato. I manifestanti provano a proteggerlo, non lo mollano, a strattoni viene portato dentro al tempio.
Gli agenti preparano l'assedio, i lacrimogeni questa volta servono a bloccare, uno sbarramento di nebbia e asfissia. L'ex direttore dell`Agenzia atomica dell'Onu è l'uomo che vorrebbe garantire la transizione, ha invocato la caduta di Hosni Mubarak, va fermato subito. O almeno immobilizzato. Lo lasciano tornare a casa e la polizia lo informa: non può andare in giro libero. Arresti domiciliari.
I ponti del Cairo sono bloccati. I plotoni anti-sommossa stanno tra i rivoltosi e il cuore della città, l'obiettivo è piazza Tahrir, la Liberazione, e i palazzi simbolo dello Stato. In mezzo cola il Nilo, qualche battello per turisti resiste al vento che porta le esalazioni degli scontri. Da Giza verso il centro, dalla parte occidentale verso quella orientale, bisogna camminare sotto i viadotti svuotati dal traffico caotico, tunnel dove restano le pietre delle prime battaglie.
Dai balconi le donne urlano «smettetela, fermatevi», quando gli sbirri caricano, abbassando gli scudi e alzando i bastoni. In strada, la gente urla «andatevene», il presidente e il figlio Gamal uniti nell'avversione da quel plurale. Il benzinaio lava via il carburante, implora di non fumare lì vicino.Un ragazzo incappucciato gli ruba l'estintore, l'immondizia in fiamme sta soffocando l'avanguardia della manifestazione.
Al mattino la città era deserta, silenziosa come i cellulari zittiti dal governo. Niente telefonate, sms o Internet, la censura serve a fermare le comunicazioni tra i rivoltosi.Che hanno usato il microblog Twitter per coordinare la protesta. Uno degli ultimi messaggi rivendica la rivolta: «Non lasciate che venga attribuita agli islamici». Al governo non basta: all'alba una retata porta via attivisti dei Fratelli Musulmani, anche se il movimento è rimasto ai margini delle manifestazioni.
Il black out era previsto nelle 26 pagine di un manuale per la guerriglia urbana circolato al Cairo. Foto aeree con gli obiettivi da conquistare cerchiati di rosso (primo fra tutti il palazzo di Mubarak e i suoi trent'anni di potere), consigli su come affrontare le forze di sicurezza: meglio evitare lo scontro diretto perché gli agenti vanno convinti a passare dall'altra parte. «Il popolo e la polizia assieme contro l'ingiustizia. Viva l`Egitto», è uno degli slogan suggeriti.
Le stradine del Vecchio Cairo permettono di aggirare i posti di blocco. Agenti in borghese impugnano i bastoni sradicati dalle aiuole, i vecchi giocano a domino, i giovani si raggruppano e preparano le mosse della loro partita con la polizia. Dai viali principali, rimbombano gli scoppi delle granate assordanti, è su quelle strade che la folla prova a sfondare per raggiungere il centro.
Il giorno della rabbia sorge anche nel resto del Paese. Ad Alessandria, i fedeli lasciano le moschee urlando «svegliatevi figli della nazione». Figli e fratelli: una battaglia nelle vie della città si esaurisce con i dimostranti che abbracciano i poliziotti, scambiano solidarietà e bottiglie d`acqua. A Suez, la manifestazione diventa un funerale, la folla solleva un cadavere, mentre un uomo strilla «hanno ucciso mio fratello» (i caduti nella città portuale sarebbero 13). Un'altra vittima è tra i beduini del Sinai. Nella capitale, i morti sono cinque, i feriti 870, gli arrestati 400.
I due leoni di pietra custodiscono l`accesso al ponte di Qasr el-Nil dal 1872. La fila di uniformi blu sta dietro un blindato, dalla torretta sputano gli idranti. Si sono fronteggiati per ore sull'isolotto di Gezira: passato questo cordone, la via è libera verso piazza Tahrir. Al tramonto, la torre del Cairo risplende blu come in un giorno normale, gli agenti cominciano a indietreggiare, la camionetta sbanda, i ragazzi in divisa corrono in ritirata verso l'altra riva, i manifestanti fanno rotolare un gabbiotto bianco di metallo, è un rullo compressore che li precede. Al Jazira mostra le immagini (da un altro ponte) di un'auto della polizia in fiamme ribaltata nel Nilo. Migliaia di manifestanti raggiungono quelli che dal primo pomeriggio assediano il centro e i palazzi del governo. Assaltano e incendiano la sede del partito Nazionale democratico di Mubarak, puntano sul ministero degli Esteri e la televisione di Stato. Che annuncia un discorso del presidente al Paese, l'apparizione (la prima dall'inizio dei disordini) arriva solo dopo la mezzanotte. Mubarak difende le azioni delle forze di sicurezza («C'è un complotto per destabilizzare l'Egitto»), ma non il suo governo: «Ho chiesto ai ministri di dimettersi, da domani (oggi, ndr) insedierò un nuovo esecutivo». Lui invece resta. Promette di «continuare con le riforme economiche, politiche e sociali», avverte i manifestanti: «Fermate la violenza e gli atti di sabotaggio».
Poche ore prima del proclama, le colonne della polizia lasciano la città e incrociano i mezzi corazzati dell`esercito che hanno ricevuto l`ordine di prendere il comando. I militari erano rimasti per ora lontani dagli scontri. Il regime proclama il coprifuoco dalle 18 alle 7 del mattino, in vigore anche ad Alessandria e Suez - nessuno lo rispetta. Gli elicotteri volano tra i palazzi, coordinano i movimenti delle truppe. A terra restano i voli della EgyptAir, la compagnia di bandiera, sospesi per almeno dodici ore.
La gente aspettava i soldati per capire da che parte stanno i generali, l'esercito è riverito dal 1973, da quando sorprese Israele con un attacco lampo. La risposta arriva sulla Comiche, lungo il fiume, dove si riversano i blindati color sabbia del deserto: sul tetto i manifestanti in festa sventolano la bandiera egiziana. I soldati vengono dispiegati anche in altre zone del Paese. A El Arish, in Sinai, lo Stato Maggiore ha dovuto chiedere l'autorizzazione a Israele, dopo l'accordo di pace è zona demilitarizzata.
Si sentono colpi di fucile, risuona un'esplosione d'arma pesante, come il cannoncino di un blindato. Un gruppo di dimostranti tenta di saccheggiare il museo egizio, altri lo proteggono con una catena umana. Il sarcofago di Tutankhamon, rivestito d`oro, è custodito in queste sale.
«Ricordare il passato è importante». Prima di inginocchiarsi in preghiera, al buio, Medhat spiega con un detto egiziano perché sia sceso in strada: «Una volta chiesero al Faraone: come hai potuto diventare così potente? Lui rispose: nessuno mi ha fermato».

martedì 9 novembre 2010

Pompei

"Non posso non rispondere a tutti coloro che hanno guardato all’Italia dandone una versione assolutamente caricaturale e lontana dalla realtà. Io li invito a venire a godere di qualcosa che il governo Berlusconi evidentemente non è riuscito a negare, cioè del sole, della bellezza, dei centomila monumenti e chiese dell’Italia, dei tremilacinquecento nostri musei, dei duemilacinquecento siti archeologici, delle quarantamila case storiche dell’Italia che non siamo riusciti a distruggere in questi due anni."

lunedì 6 settembre 2010

sabato 21 agosto 2010

Le barzellette del Littorio

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Panorama di giovedì 26 agosto 2010, pagina 87
Cane sciolto - di Feltri Vittorio

Fini ha sbagliato a non raccontare tutto. Un uomo delle istituzioni non può esporre se stesso e la sua carica a una figuraccia

Molti lettori mi chiedono con insistenza come si concluderà, e con quali conseguenze, la vicenda di Gianfranco Fini e dell'appartamento di Montecarlo al centro di infuocate polemiche. E sinceramente non so come rispondere. Non perché voglia mantenere chissà quali segreti di cui peraltro non sono depositario: semplicemente non ho la più pallida idea del motivo che spinge il presidente della Camera a negare l'evidenza. E cioè che quell'alloggio nel principato è stato oggetto di trattative poco chiare ed è finito inspiegabilmente nell'orbita della sua famiglia, per l'esattezza a disposizione del «cognato» Giancarlo, fratello di Elisabetta Tulliani. Eppure quell'alloggio, secondo la volontà della nobildonna che lo ha lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale, doveva servire a finanziare una «buona battaglia» del partito e non ad arricchire il patrimonio immobiliare di qualcuno. Detto questo, Fini se fosse stato furbo avrebbe detto subito la verità, senza cercare di sorvolare sulla questione, manifestando per giunta insofferenza verso i giornalisti impegnati a risolverla.

Ora è tutto maledettamente complicato. Succede sempre così. Si comincia con una omissione, si aggiunge una piccola bugia, poi una più grande, a un certo punto, si fatica a tornare indietro e a dire: ebbene, ho commesso una leggerezza, ma non è il caso di crocefiggermi; c'è chi ha fatto di peggio ed è stato perdonato. Fini, quando usci il primo articolo della lunga serie, ci rise su. Il solito Feltri che si diverte a fare le bucce ai politici. Un corno. Giorno dopo giorno, sono stati pubblicati particolari, documenti e testimonianze che dimostravano la fondatezza di tanti sospetti sollevati dai cronisti. Niente da fare. Il presidente della Camera ha continuato a sottovalutare il pasticcio del quartierino di Montecarlo, forse nella convinzione che ci saremmo stancati di indagare e che lo avremmo lasciato in pace. Quindi, sentendosi pressato, ha deciso di rispondere ai nostri quesiti, ma non è stato persuasivo. Ha dovuto ammettere che l'appartamento a sua insaputa è abitato dal cognato, tuttavia non ha precisato perché proprio da lui.

Sicché i redattori non hanno cessato di indagare e sono venuti fuori altri dettagli oscuri. Poteva Fini non essere al corrente del giro strano compiuto dalla casa prima di essere ceduta in locazione a Giancarlo Tulliani? L'appartamento inoltre è stato venduto in società off-shore a un prezzo assai inferiore a quello di mercato: successivamente è stato rivenduto a un'altra società off-shore a una cifra di poco superiore, infine è entrato in possesso del disinvolto giovanotto.

Come mai questi passaggi a società off-shore (delle Antille) con pagamenti risibili rispetto al valore dell'appartamento? Perché il ragazzo, che ha speso 200 mila euro per una Ferrari, non ne ha spesi 300 mila per assicurarsi il pied-à-terre? Forse dietro le società (di comodo, anche agli effetti fiscali) c'è lo stesso congiunto di ElisabettaTulliani? Fini è stato ingannato?

In ogni caso la faccenda, una volta resa di pubblico dominio, andava raccontata nel suo reale svolgimento. Un uomo delle istituzioni non si nasconde dietro a un dito ma dice come stanno le cose. Altrimenti fa brutta figura. E ne fa una peggiore se tenta di giustificarsi arrampicandosi sugli specchi. Meglio una verità bruttarella che cento balle ispirate alla disperazione tipica di chi ha sbagliato.

Fini ha sbagliato a non raccontare tutto. Un uomo delle istituzioni non pu esporre se stesso e la sua carica a una figuraccia.
Qualcuno ha detto società off-shore? Vogliamo parlare di case comprate a pressi risibili?

martedì 29 giugno 2010

Sentenza Dell'Utri: abbiamo scherzato.

La corte, riformando la sentenza di primo grado, ha invece assolto Dell'Utri limitatamente alle condotte contestate come commesse in epoca successiva al 1992 perché «il fatto non sussiste», riducendo così la pena da nove a sette anni di reclusione.
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A Caltanissetta si indagava per le stragi" e Ilda Boccassini, nel corso di un interrogatorio del pentito Salvatore Cancemi, gli chiese seccamente: "La Fininvest paga il pizzo per le antenne in Sicilia?". "Pagava il pizzo", fu la breve risposta di Cangemi.
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martedì 15 giugno 2010

Limiti a stampa e tv: le regole all’estero

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GB: Già nel 1993 i giornali, pubblicarono le telefonate fra Carlo e Camilla
Limiti a stampa e tv: le regole all’estero
Nella Repubblica Ceca la legge più severa: carcere fino a 5 anni e multa fino a quasi 200 mila euro al giornale

21 maggio 2010 - Il rapporto tra la riservatezza delle conversazioni, le intercettazioni come strumento investigativo e il diritto di cronaca, negli ultimi anni, sono diventati cruciali in tutte le democrazie avanzate. La tecnologia rende teoricamente possibile il controllo delle comunicazioni a un livello un tempo proprio solo dell’enorme apparato spionistico del Kgb sovietico. Limiti sono previsti in quasi tutti i Paesi, ma la pubblicazione delle intercettazione di interesse pubblico incontra generalmente pochi ostacoli. Ecco un panorama della situazione nei grandi Paesi dell’Unione Europea, in Russia e negli Stati Uniti.

Gran Bretagna: Nessuna barriera se l’interesse è pubblico
LONDRA — Si potrebbe risalire all’8 febbraio 1587 quando Maria Stuarda fu accusata di alto tradimento: i nobili inglesi intercettarono e manipolarono le lettere della regina di Scozia per portarla alla ghigliottina. Fu la prima «intercettazione » della storia moderna? Ma si potrebbe saltare al 1993, quando i giornali pubblicarono le telefonate fra Carlo e Camilla. «Non posso sopportare una domenica notte senza di te». «Vorrei essere il tuo tampax». Che scandalo. Di comunicazioni intercettate si discute da cinque secoli. È sacro il diritto alla privacy ed è sacro il diritto d’informare: qual è l’equilibrio corretto? È il «Regulation of Investigatory Power Act» che disciplina la materia. Il ministero dell’Interno autorizza le intercettazioni che, per principio, non possono essere diffuse o riprodotte. Ma il «Freedom of Information Act» dà il «diritto di conoscere», dunque di consultare, richiedendolo al Commissioner o al tribunale che decidono, gli atti investigativi e di pubblicarli. Laddove prevale l’interesse pubblico non c’è barriera che tenga. Persino a Buckingham Palace (i bisbigli d’amore di Carlo e Camilla insegnano) s’inchinano a questo principio sacro.
Fabio Cavalera

Francia: La fonte è protetta salvo casi eccezionali
PARIGI — In Francia il segreto professionale dei giornalisti è tutelato. Le intercettazioni, come avvenuto anche in recenti casi (processo Clearstream, che vedeva di fronte il presidente Sarkozy e l’ex premier Villepin), sono state pubblicate anche in corso d’istruttoria e solo in casi eccezionali può essere richiesto di rivelare la propria fonte. Ci sono stati esempi di giornalisti condannati per aver divulgato intercettazioni (il caso della cellula segreta dell’Eliseo all’epoca di Mitterrand) ma poi assolti alla Corte europea di Strasburgo. In buona sostanza, il giornalista pubblica documenti giudiziari e protegge le proprie fonti, ma può incorrere nel reato di diffamazione e di violazione della presunzione d’innocenza dell’individuo menzionato nelle intercettazioni o in documenti giudiziari. In questo caso, la normativa rimane in equilibrio fra i diritti della stampa e individuali. Il giornalista rischia di essere perseguito per diffamazione. Secondo un recente studio, le intercettazioni si sono moltiplicate per cinque negli ultimi anni (26 mila nel 2008), oltre a circa seimila intercettazioni «amministrative », cioè non autorizzate dal giudice.
Massimo Nava

Spagna: Diritto di cronaca senza conseguenze
MADRID — Nelle ultime settimane si è acceso un dibattito in Spagna sull’operato del giudice Baltasar Garzón che ha intercettato le conversazioni tra alcuni imputati di corruzione nel caso Gürtel (che coinvolge politici delle comunità autonome di Madrid e Valencia) e i loro avvocati, ed è stato denunciato per abuso d’ufficio, in quanto sono generalmente conversazioni protette. In base all’articolo 579 della «Ley de enjuiciamiento criminal» le intercettazioni possono essere disposte da un giudice per un periodo di tre mesi (prorogabile di altri tre). In caso di urgenza possono essere ordinate anche dal ministro dell’Interno, se l’inchiesta riguarda bande armate o terroristi. Sebbene negli ambienti giuridici si discuta sulle garanzie offerte dalla legislazione vigente, l’interesse pubblico in Spagna è considerato prevalente, perciò la pubblicazione delle intercettazioni non è perseguibile. Le intercettazioni ordinate da Garzón nel caso Gürtel sono state pubblicate senza alcuna conseguenza per editori e giornalisti. «Una legge simile a quella italiana—assicurava ieri El País—avrebbe portato in carcere i giornalisti che hanno indagato sul caso».
Elisabetta Rosaspina

Repubblica Ceca: Appello all’Europa per la «museruola»
BRUXELLES — È entrata in vigore il 1˚ aprile 2009. Ma tutto era, meno che un pesce d’aprile. A Praga l’hanno subito chiamata «legge museruola»: perché appioppa la galera fino a 5 anni al giornalista che pubblichi il contenuto di un’intercettazione giudiziaria o qualunque notizia su una persona indagata o sospetta, «anche se lo fa nel pubblico interesse»; e una multa fino a 5 milioni di corone (circa 194 mila euro) all’azienda editoriale per cui il reo lavora. In origine la legge era stata presentata come un miniemendamento al codice penale, teso a proteggere da una pubblicità indesiderata i bambini vittime di abusi: «E bene inteso, io sto con le vittime non con i media» rispose infatti il presidente Vaclav Klaus, quando i giornalisti cechi e di «Reporters sans frontières » lo supplicarono di bloccare la legge con il suo veto. Nel luglio 2009, da Bruxelles, la Federazione europea degli editori ha chiesto «con urgenza» un intervento alla presidenza dell’Ue, «per un atto di solidarietà con le federazioni della stampa in Italia e nella Repubblica Ceca, su una questione che ci preoccupa molto: la libertà di stampa…». Da allora, la museruola è rimasta al suo posto.
Luigi Offeddu

Russia: Vietati ai giornali solo i segreti di Stato
MOSCA — In Russia tutti i telefoni, i cellulari e le postazioni Internet sono permanentemente collegati a centri di ascolto dei servizi di sicurezza, l’Fsb, successore del Kgb. L’intercettazione può scattare per «qualsiasi indizio di reato progettato, compiuto o che sta per compiersi ». L’Fsb procede autonomamente ed entro 24 ore chiede l’autorizzazione al magistrato competente. Quando è in ballo il segreto di Stato, l’Fsb può mantenere segreti tutti i documenti, compreso l’atto d’accusa. In alcuni casi questo segreto vale anche nei confronti dell’avvocato difensore dell’imputato. Nei procedimenti normali gli atti, gli interrogatori e le intercettazioni comunicati dal giudice istruttore agli avvocati difensori possono essere liberamente pubblicati dai giornali che ne vengono a conoscenza. Il magistrato inquirente può però in qualsiasi momento disporre che particolari elementi debbano rimanere segreti se ritiene che ciò sia fondamentale per l’inchiesta in corso. Il dibattimento processuale è invece del tutto pubblico, a meno che non intervenga il segreto di Stato.
Fabrizio Dragosei

Stati Uniti:«Wiretap» legale e accessibile ai media
NEW YORK — Negli Stati Uniti le intercettazioni da parte di terzi sono legali sia a livello federale sia statale, previa autorizzazione di un giudice. In virtù del primo emendamento della Costituzione sulla libertà di stampa, i media hanno il pieno accesso alla pubblicazione di materiale a esse inerente. «Possiamo pubblicare qualsiasi cosa — spiega Lucy Dalglish, direttore esecutivo del Reporters Committee for Freedom of the Press—purché non presenti una minaccia imminente alla sicurezza nazionale o all’incolumità fisica di qualcuno». Dai Pentagon Papers al Sexgate, il libero accesso dei media a questo tipo di materiale è considerato uno degli elementi chiave della democrazia americana. Nella stragrande maggioranza degli Stati anche per registrare di nascosto una telefonata basta il consenso di una sola delle due parti. Iniziato nel 1890 in seguito all’invenzione del registratore, il wiretapping è stato usato dalla maggior parte dei presidenti Usa da quando la Corte suprema l’ha reso legale, nel 1928. Nel 1968 il Congresso ha approvato una legge che impone l’autorizzazione dal tribunale per le intercettazioni concernenti indagini criminali.
Alessandra Farkas

lunedì 14 giugno 2010

L'oro dei giudici (letters from hell)

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LA VERITÀ SULLO STIPENDIO DEI MAGISTRATI
Repubblica — 09 giugno 2010 pagina 46

Caro Augias, chiedo di non pubblicare il mio nome, appartengo alla più impopolare categoria: sono un magistrato e vorrei dire due parole sui nostri stipendi. Non guadagno 5 mila euro al mese, né alcuna altra delle folli cifre che ho letto in questi giorni. Sono in magistratura dal 1999, oggi il mio stipendio netto (perché è col netto che si campa) è pari a 3.600 euro all'incirca. Certo, è una cifra decorosa ma si tratta anche di un lavoro delicatissimo. Preciso anche che lo stipendio è comprensivo di tutto: i turni del sabato (o delle domeniche); i fine settimana passati a preparare l'udienza; la stesura delle motivazioni di sentenze anche in pieno agosto. Circa dieci ore al giorno. Vado in ufficio con la mia macchina; compro i libri per il mio mestiere; pago la rata del mutuo; la scuola ed i vestiti dei figli; l'assicurazione professionale; il materiale di cancelleria; l'assistenza informatica (il ministero ha tagliato i fondi, ci vogliono circa sette giorni perché arrivino i tecnici del tribunale). Tutto nei 3.600 euro, nessun benefattore che elargisca a mia insaputa, nessun arrotondamento con arbitrati, consulenze o che sia. Non faccio due mesi di ferie all'anno. Come tutti i colleghi che ho conosciuto, faccio sacrifici per non deludere le aspettative che ripongono in me. So che in ogni dossier che maneggio ci sono esseri umani che aspettano una cosa difficile: giustizia. Infliggo gli stessi sacrifici a chi mi sta vicino, sottraggo tempo ai miei figli, tutto per un lavoro che sognavo di fare fin da bambina. Si dà il caso che quel lavoro sia uno dei poteri dello Stato, voglio quel rispetto che mi guadagno lavorando onestamente, tutti i giorni. C'è alla vista uno sciopero dei magistrati. Il ministro guardasigilli lo ha bollato come "sciopero politico". Basta entrare in un tribunale, vedere in quali condizioni si lavora, comprese le procure, per porsi una domanda completamente diversa: come si fa ad amministrare nientemeno che la giustizia (sia pure un' umana giustizia) in quelle condizioni? Con quegli strumenti? Perché il ministro non si fa mai questa domanda? Perché nessuno si preoccupa di migliorare un' amministrazione che fa spavento? O vergogna? O tutt'e due le cose? Sembrano prevalere altre preoccupazioni. Viene da pensare che una Giustizia che zoppica, arranca, così chiaramente sopraffatta, affannata, priva di mezzi, scarsa di personale, faccia comodo a un bel po' di persone. Sciopero politico, dice il ministro, consapevole, credo, di quale danno ulteriore i magistrati avranno dalla legge bavaglio in preparazione, con norme assurde come quella del rinnovo di 48 in 48 ore del permesso di intercettare i sospetti. In un paese come il nostro, con i criminali che abbiamo. Ad ogni livello della vita pubblica.
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IO, CANCELLIERE E I TAGLI ALLA GIUSTIZIA
Repubblica — 10 giugno 2010 pagina 34

Ho letto la lettera pubblicata ieri su Repubblica del magistrato che parla del suo stipendio e vorrei precisare che la sua è una condizione ottimale rispetto a quella del personale amministrativo che svolge un lavoro altrettanto delicato e con grandi responsabilità. Sono un cancelliere e lavoro nell'amministrazione dal 1977 ed il mio stipendio è di 1.600 euro. Anche io vado in ufficio con la mia macchina, compro i codici con i miei soldi, pago la rata del mutuo, i vestiti peri miei figli. Anche io pago l'assicurazione professionale, e compro le penne, i post-it e tutto quello che necessita per la mia attività. Sono costretta a comprare, insieme ai colleghi, la carta igienica ed il sapone per le mani. Sarebbe auspicabile che i media si occupassero anche del personale amministrativo della giustizia: senza il nostro lavoro le sentenze e tutti i provvedimenti dei magistrati rimarrebbero semplicemente fogli di carta.

mercoledì 19 maggio 2010

L'Aquila - Nessuno dice che...

Voi non avete la più pallida idea di quanto queste situazioni facciano girare il cazzo a molti di noi...

Strumentalizzazioni, strumentalizzazioni e basta, da una parte e dall'altra. E vi giuro, sarei anche disposto ad essere utilizzato come banderuola da questo o quello schieramento, ad essere il giullare di corte di questa nazione, se non fosse che ciò impedisce di poter parlare dei problemi concreti che abbiamo, dato che si attaccano tutti a dire "sei un berlusconiano, sei antiberlusconiano, blablabla".

Nessuno, NESSUNO è capace di dire le cose come stanno, di parlare di tutto questo in maniera obbiettiva, di dire che sia cose buone sia cose pessime sono state fatte. Non avete idea di quanto ciò faccia girare il cazzo.


Aggiungo che non ho visto Draquila, e non lo vedrò a meno che un giorno non esca il dvd e qualcuno me lo porti, dato che non voglio pagare per vedere un documentario su qualcosa che vivo tutti i giorni sulla mia pelle (ed inoltre più riesco ad allontanarmi, anche solo con la fantasia, da questa realtà e meglio è).
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Il mio punto di vista l'ho già espresso in molti altri topic, riassumo qui alcune cose.
Le c.a.s.e., c'è poco da fare, servivano, data l'enorme quantità di sfollati. Chi dice che si poteva fare tutto con moduli abitativi provvisori (aka map), dice na cazzata, perchè non considera il quantitativo di terreno necessario. Forse si poteva ridurre il numero delle case in favore dei map, ma questo è un altro discorso.
Al contempo, chi dice che l'unica alternativa alle case sono i container intesi come scatoloni di latta sbaglia: i container, oggi, sono ESATTAMENTE i map (cercate su internet "container abitativi"). E' quindi pretestuoso contrapporre, a chi critica il progetto case, l'affermazione che l'unica alternativa reale erano gli scatolotti in metallo. Un discorso simile vale per il terremoto dell'Irpinia: non può essere paragonato ciò che è successo 30 anni fa a ciò che è successo ora, quando la protezione civile non esisteva, le tecniche costruttive delle case erano diverse, non era neanche immaginabile un'edilizia "speed" e via dicendo. Dire che lì rimasero con le pezze al culo in quella situazione non significa che bisogna necessariamente lodare o esaltare o dire che è andato tutto benissimo ciò che è successo qui.
Tornando alle case, c'è da dire che MEDIAMENTE sono ben fatte, ma in termini assoluti il risultato varia molto a seconda della zona (e delle ditte che ci hanno lavorato): mio zio si ritrova in una casa che ammetto essere bellissima, personalmente mi è piaciuta molto, la mia ragazza si ritrova praticamente in una scatola che ha solo vagamente la parvenza di una casa (per non parlare dei metri quadri iniqui, dell'unico bagno in quattro e via dicendo). Questo per dire che ci sono casi e casi riguardo sia la qualità generale che la qualità particolare (infissi, cucine, pavimenti e via dicendo; un mio amico ha il parchè del bagno che costantemente si gonfia fino ad impedire alla porta di chiudersi, mentre a quello che gli abita sotto costantemente piove in testa).

Inoltre nessuno parla di uno degli errori più grandi: le proiezioni del progetto case.
Presumo, quando hanno steso i progetti, che abbiano fatto delle proiezioni riguardo a quante persone metterci dentro. Ebbene, non so se abbiano messo una scimmia a farle, o semplicemente non l'abbiano considerato, ma c'è stato e c'è tutt'ora l'enorme problema della distribuzione. Hanno creato alloggi principalmente per 3 e 4 persone, con il risultato che single e coppie sono rimasti fregati. E, per quei pochi che potevano accedere, non è detto che fosse fattibile. Io vivo da solo con mia madre, tecnicamente siamo una coppia, ma sarebbe impossibile per lei che lavora e per me che sono uno studente universitario vivere dentro un monolocale (e non per 8 mesi, parliamo di anni).

Complessivamente, io promuovo il progetto case. Se gli dovessi dare un voto, gli darei un 6 e mezzo, tendente al 7. Questo perchè un tetto l'ha dato e a molte persone, quindi il suo compito principale l'ha svolto, ma al contempo si porta dietro tantissimi micro problemi che, sommati tra loro, rendono il progetto buono, non ottimo. E' anche vero che è stato praticamente un esperimento: non ho mai visto in italia costruire così velocemente e, nel malaugurato caso in cui l'italia si troverà ad affrontare di nuovo un problema alloggiativo simile, credo che una serie di questi problemi verranno sistemati.

Nessuno parla di coloro che sono in autonoma sistemazione.
Autonoma sistemazione significa che lo stato ti da 200 euro al mese a persona, fino ad un massimo di 600 euro, con alcuni bonus se ci sono anziani o disabili. Solo negli ultimi due mesi hanno cambiato l'autonoma sistemazione portandola a 600 euro anche per i nuclei da due persone, quindi solo da poco ci si comincia a pagare almeno una parte consistente dell'affitto. Delle disparità tra chi sta in autonoma e chi sta nel progetto case nessuno parla; nessuno dice che praticamente cani e porci prendono sti cazzo di soldi mensili, anche se magari hanno la casa agibile. Entro fine mese bisogna fare una certificazione dicendo che non si hanno altre case disponibili nel territorio: ciò cambierà pochissimo le cose, dato che di controlli se ne fanno pochi, ed inoltre l'avere una casa classificata B (danni lievi) non significa che non ci si possa vivere dentro e quindi prendere l'autonoma a sbafo. Se a ciò ci aggiungiamo che, oltre ad essere una cifra iniqua per chi ci deve effettivamente campare, viene erogata con mesi e mesi di ritardo (attualmente ci hanno erogato gennaio se non sbaglio) perchè il comune è costretto ad anticipare dato che lo stato non versa, la cosa fa un po' girare il cazzo.

Nessuno dice che in centro è tutto fermo. E quando dico tutto fermo, intendo dire che io ho un'ordinanza di demolizione per la mia casa che è di settembre, e probabilmente prima di settembre non si demolirà nulla. Un discorso simile si può fare per le macerie. E questo non vuol dire pretendere che venga fatto tutto e subito, ma DEMOLIZIONE e RIMOZIONE sono i due primi passi necessari per poter cominciare a lavorare alla ricostruzione. Ripeto, l'ordinanza di demolizione della mia casa risale a 7 mesi fa....

Nessuno dice che tra poco più di un mese qui si ricomincia a pagare le tasse, e che molti non sono neanche stati in grado di lavorare dato che avevano ad esempio un'attività in centro. Nessuno dice che Bertolaso si sta già parando il culo affermando che a giugno qualcuno ricomincerà a pagare le tasse, andando contro quanto affermato a trombe spiegate dal governo in tutte le trasmissioni (trattamento come umbria e marche). Potrei anche essere d'accordo sul fatto che qualcuno possa ricominciare a pagare le tasse eh, ma dopo quanto era stato dichiarato la cosa da molto fastidio.

Nessuno dice che, quando qui la gente se la prende con Bertolaso, non se la prende con la protezione civile tutta o con i suoi volontari. Nessuno dice che qui alcuni che se ne sono andati dalle tende hanno pianto abbracciando vigili, esercito, marina, volontari della croce rossa e così via. Nessuno dice che qui l'aiuto dell'Italia si è sentito, tantissimo. E nessuno dice che il fatto di aver ricevuto questo aiuto dallo stato, questa solidarietà dalla popolazione, non significa non avere il diritto di dire "secondo noi c'è questo che non va". Porca puttana, dire la propria opinione significa in questo momento passare agli occhi del mondo come degli ingrati del cazzo, tanto noi "abbiamo avuto le case co pure la tv dentro", no?
Mah, io so solo che me ne devo scappare da qui il prima possibile...
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giovedì 22 aprile 2010

mercoledì 31 marzo 2010

Sconfitti e contenti - di Tommaso Cerno (l'Espresso, 20 gennaio 2010)

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Ai consiglieri regionali non rieletti andranno 32 milioni di euro di liquidazioni. Mentre i vitalizi per gli ex supereranno i 100 milioni. Ecco i privilegi della casta local. E il governo rinvia il taglio delle poltrone

Altro che onorevolini. La casta local dei consiglieri regionali spende e spreca come quella global di Montecitorio. E il diminutivo fa davvero sorridere: costano cari quando sono in carica e si paga salato pure chi perde la poltrona. Berlusconi aveva annunciato sforbiciate e tagli negli enti locali. E invece niente. Succederà tutto di nuovo il 28 e 29 marzo, quando 13 regioni andranno alle urne e l'esercito dei trombati, anziché piangere per la delusione, riderà passando alla cassa. Pronto a intascare la liquidazione d'oro che spetta agli ex e che regalerà oltre 32 milioni di euro netti ai reduci di questa legislatura, senza contare il vitalizio che succhia un centinaio di milioni l'anno e potrebbe crescere del 15 per cento.

LA MAPPA INTERATTIVA Stipendi e privilegi dei consiglieri regionali

Cifre che raddoppiano se si calcola l'esborso lordo per le casse pubbliche e triplicano sommando le regioni che hanno votato in anticipo. Tanto a pagare il conto ci penseranno come sempre gli italiani. La sfera di cristallo per stimare quanti incasseranno la buona uscita non c'è, ma la statistica aiuta.

"L'espresso" ha analizzato i dati delle precedenti elezioni, arrivando a una stima. A ogni ex andranno in media 43 mila euro per 5 anni di carica, già sgravati da tasse e contributi. Con picchi da super manager per i veterani, che in alcuni casi si porteranno a casa fino a 257 mila euro dopo tre mandati. A colpi di simili Tfr per sforare il tetto dei 30 milioni basta che la metà dei 709 consiglieri (e un centinaio di assessori) chiamati al rinnovo non sia rieletto, calcolando due legislature a testa. Sono costi della politica che salgono in silenzio a ogni elezione. Nessuno ci fa caso perché quei parlamentini sembrano minuscoli, contano fra 30 e 90 consiglieri ciascuno. Ma presi tutti insieme fanno quasi 1.100 onorevoli, più di Camera e Senato. Ecco che in bilancio c'è chi infila 8,9 milioni in più come la Lombardia, chi 3,5 come il Veneto o 4 come il Piemonte. Crescono le spese anche nelle regioni più piccole, come le Marche, dove stanziano mezzo milione. "Sono conti fatti a spanne. Noi abbiamo previsto 6 milioni e non è certo che ci basteranno", spiegano nel Lazio. A Napoli il 28 dicembre su queste spese s'è sfiorata la rissa in aula: "Il presidente Mucciolo faccia chiarezza sul punto, senza se e senza ma", ha chiesto Angelo Giusto del Pd. Nel bilancio non c'è traccia di quattrini, eppure la legge prevede fra 46 e 140 mila euro, solo in minima parte accantonati con le trattenute. Austerity? Macché, un escamotage per non far crescere, almeno in apparenza, i conti di un consiglio dove quasi il 40 per cento viene inghiottito dagli stipendi dei politici. Fanno oltre 32 milioni l'anno.

La patata bollente passerà alla nuova giunta che dovrà trovare altri soldi per rimborsare chi rimarrà senza poltrona. Nel 2005 capitò a 35 consiglieri su 60 e costò più di 4 milioni: "Prevediamo una cifra simile anche stavolta", ammettono a Palazzo.

L'ira del cardinale
Sulla casta dei regionali è stato scagliato perfino un anatema. A Natale il cardinale di Torino, Severino Poletto, tuonò contro la "vergogna" di una politica che in tempi di crisi nera non ha di meglio da fare che aumentarsi lo stipendio. Il Tfr piemontese con i suoi 85 mila euro netti a legislatura è il più alto d'Italia, assieme a quello della Puglia, pari a 80 mila. Le regioni che si sono raddoppiate i fondi (due mesi di stipendio per ogni anno passato fra i banchi) stanno una al Nord e l'altra al Sud, a dimostrare che la mappa delle liquidazioni da sogno non rispetta il confine del Po, ma straripa dappertutto. "Servirebbero esempi di austerità quando tanta parte della popolazione vive male", denuncia il porporato. E in tutta risposta il consiglio scarica la colpa sull'ex governatore di centrodestra Ghigo, che introdusse il nuovo tariffario. Anche se pure con il Pd nell'era Bresso l'indennità che per un operaio Fiat equivale a due vite e mezzo in fabbrica è rimasta invariata. La motivazione ufficiale fa sorridere, anche perché rievoca la procedura per gli ex detenuti: "Quei soldi servono al reinserimento sociale", ripetono un po' tutti i politici. Insomma, risarcisce il professionista che ha perso clienti per dedicarsi alla cosa pubblica, come Luca Caramella del Pdl: "Non è facile ripartire da zero quando non vieni rieletto, soprattutto se il consigliere lo fai a tempo pieno come me", risponde al vescovo. Ma anche il bancario a 2 mila euro al mese, come Mariano Rabino del Pd: "Nel 2000 mi sono pagato una costosa campagna elettorale e non sono riuscito a farcela. Per coprire i debiti ci ho messo qualche anno. In banca ho ritrovato il mio posto, ma la carriera era ormai ferma ". Eppure nel plotone dei reduci non tutti sono d'accordo. Come Luigi Bianchini, avvocato marchigiano eletto nel 1970, proprio all'esordio dei nuovi enti. È un senior degli ex, ma ammette che quando è troppo è troppo: "L'indennità di fine mandato per chi ritrova il posto di lavoro non ha alcun senso. Andrebbe abolita", taglia corto. Per ora è un sogno.

Quando Roma impose una dieta ai conti regionali, ci fu l'insurrezione. Al punto che la Campania fece ricorso e vinse: "Quella norma denota un centralismo inaccettabile e scavalca i nostri poteri", hanno sostenuto tornando alla vecchia e più generosa retribuzione. Così ogni Regione può ritoccare in piena autonomia il privilegio. Alcuni virtuosi, si fa per dire, ci sono. La buona uscita ce l'hanno anche loro, ma più bassa. In Calabria ricevono 21 mila euro netti a legislatura, in Emilia Romagna 24 mila e in Veneto 27 mila. È il cruccio di Alberto Deambrogio del Prc, firmatario di una proposta di legge per ridurre i privilegi. Non ci sta ad essere bollato come sprecone a causa di queste differenze in busta paga: "Siamo diventati uno dei cavalli di battaglia dell'antipolitica per l'impostazione craxiana mai sopita, un uso del denaro pubblico troppo leggero ", dice. Lui prende l'indennità di carica e, se non sarà confermato, avrà il suo Tfr e il vitalizio. "Ma giro quasi tutto al partito", ribatte. Già, versa il 55 per cento dopo il flop alle politiche che ha tagliato fuori Rifondazione dai rimborsi elettorali: "La gente non capisce, ma io sono fra l'incudine e il martello. Da una parte mi dicono che siamo la casta, dall'altra i compagni di Casale Monferrato mi chiedono come mai non ci sono i nostri manifesti per le regionali. Perché non ci sono soldi. Avanti di questo passo la politica rischia di tornare una prerogativa dei ricchi".

Premio fedeltà
Chi è in odore di addio, non se ne sta certo con le mani in mano. Mentre i disoccupati cantano sotto la sua finestra "O lavoro ce ata dà!", l'assessore campano Corrado Gabriele, ad esempio, piazza fedelissimi dello staff all'Agenzia del lavoro. Il 31 dicembre è stato nominato direttore generale Francesco Girardi, fino al giorno prima coordinatore d'area del suo assessorato. La scelta spettava proprio a Gabriele e all'ufficio: c'erano 50 profili idonei, hanno preferito lui. Tanto che la Cisl già annuncia un ricorso. Una settimana fa, poi, i dipendenti del consiglio hanno scioperato. Ce l'hanno con l'ipotesi di stabilizzazione di circa 210 “comandati da altri enti”, gente che proviene da società pubbliche o private, fuggita dopo pochi giorni, il tempo necessario per accomodarsi a Palazzo senza concorso. Costano 6 milioni l'anno.

Sistemare i portaborse, però, è pratica bipartisan e diffusa. In Veneto qualche tempo fa sono stati addirittura stabilizzati grazie a una legge votata all'unanimità, con la polemica fuoriuscita del governatore Giancarlo Galan dal gruppo di Fi. Grandi manovre anche in Calabria, dove già nel 2001 vennero assunti 86 portaborse in tempo di elezioni. C'era di tutto. Figli, fratelli, sorelle di politici e pure funzionari di partito. Addirittura Carlo Guccione, allora segretario provinciale Ds di Cosenza e oggi trionfatore alle primarie del Pd. Ma la tradizione continua, fra graduatorie che si allungano all'Arpacal, l'agenzia per l'ambiente, e assunzioni a chiamata diretta nelle Asl. Tutti raccomandati dai trombati in fuga nel 2010.

Sfizi e vitalizi
Finito di pensare agli amici e spendere la regalia, si torna in coda per il vitalizio. Guai a chiamarlo baby pensione, gli onorevoli si infuriano. E invece si tratta proprio di questo. Per maturarla bastano quasi sempre cinque anni e non ne servono certo 35 come ai comuni mortali. E proprio dopo il voto di primavera si prevede una nuova infornata, tanto che fra le pieghe delle Finanziarie locali compare l'ennesima voce di spesa. Il Lazio ha stanziato il 12,5 per cento in più, passando da 14 a 16 milioni di euro l'anno, altri stimano addirittura un incremento del 25 per cento come l'Umbria che ritocca la posta da 1,9 a 2,4 milioni. Se la media sarà davvero questa, cioè 2 milioni di maggiori uscite per un'assemblea da 70 consiglieri, si spenderanno quasi 15 milioni in più. La Conferenza dei consigli regionali a Roma cerca di metterci una pezza. Nemmeno i tecnici conoscono nel dettaglio tutte le leggi in vigore. Per fare i conti ci hanno messo anni e qualche misteriosa casella vuota c'è ancora: "Anche per il vitalizio i consigli sono sovrani e, se questo è giusto sul piano dell'autonomia, crea però delle disuguaglianze che i cittadini non comprendono", spiegano alla direzione. Proprio così.

Le indennità sono calcolate su quelle dei parlamentari, ma c'è chi si assegna il 65 per cento come Liguria e Marche, chi il 90 come il Lazio, chi l'intera cifra come la Sicilia. Anche i contributi obbligatori variano dal 10 al 27 per cento, come l'età di riscossione. E se una serena vecchiaia è un diritto, a Roma la politica non ha mai sentito parlare dello scalone, visto che chi resta fuori dall'aula di via della Pisana può anticiparsi la pensione già dai 50 anni. Muovendosi lungo la Penisola cambia di poco. L'età minima è spesso 60 anni, ma si può quasi sempre bluffare. C'è chi ci mette qualche mese in più, chi rinuncia agli spiccioli, ma la morale è la stessa: la spesa dei regionali è fuori controllo.

Le baby pensioni
A rimettere ordine ci provò l'ex coordinatore nazionale delle assemblee legislative Alessandro Tesini, che rese pubblici i criteri di calcolo. "Ci fu una mezza rivoluzione, ma rifarei tutto. Indennità e vitalizio così come sono rappresentano un'anomalia italiana", denuncia l'esponente del Pd. Tanto che il sistema è saltato da almeno vent'anni. Anche in questo caso non esistono statistiche ufficiali, eppure raffrontando i bilanci passati, la falla è presto trovata. Il meccanismo dei contributi resse fino fino al 1990. Da allora gli ex consiglieri (oggi sono oltre 4.500) superano quelli in carica: "In questo modo il vitalizio viene alimentato da una trattenuta che, nel tempo, è sempre più esigua rispetto alle uscite. Il nostro fondo non è più in grado di autoalimentarsi per cui preleva denaro pubblico, quando gli istituti pensionistici come l'Inps devono per legge chiudere in pareggio", spiega Tesini.

C'è anche una seconda anomalia e cioè la percentuale di trattenute, che non supera i duemila euro al mese. Nessuna assicurazione privata in Italia, a fronte di versamenti del genere, garantirebbe una rendita vitalizia media di oltre 5 mila euro lordi con picchi da ottomila euro in così breve tempo. Senza considerare che la pensione è anche reversibile, passa cioè ai congiunti in caso di morte. Fra crociate anti spreco e conti che non tornano, lo squadrone degli ex si sente in pericolo. Teme che un brutto giorno anche in Italia il bonus per i trombati svanisca nel nulla. Per dare battaglia si sono inventati le associazioni di categoria, forti di migliaia di iscritti regione per regione, e hanno pure un coordinamento nazionale per fare pressing sul parlamento. "Siamo noi i primi che abbiamo attuato una politica del risparmio, proprio per evitare interventi dall'alto ", protestano i presidenti dei gruppi di ex da Nord a Sud. "I parlamentari nazionali sono uniti, fanno blocco, e in questo modo li stanno ad ascoltare. Noi non saremo da meno". Anche se la falla nei conti s'allarga. Inesorabile a ogni rinnovo.

mercoledì 10 febbraio 2010

Intervista a Marcello Dell'Utri

IO, SENATORE PER NON FINIRE IN GALERA
Dell’Utri si confessa: tutta colpa di giudici e pentiti. Ma come dice Ciancimino i boss fecero votare Forza Italia
di Beatrice Borromeo


“A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera”. Freccia-rossa Milano-Roma. Marcello Dell’Utri, senatore del Pdl condannato in primo grado a nove anni per mafia, si addormenta, seduto al suo posto, dopo aver mangiato un panino nella carrozza ristorante. Con lui, una guardia del corpo. Poi squilla il telefono e Dell’Utri – faccia dimessa – si sveglia e parla volentieri, a voce bassa.

Senatore, lei è su tutti i giornali per le dichiarazioni di Massimo Ciancimino.
Due sono le opzioni: o mi sparo un colpo di pistola, o la prendo sul ridere. Di certo farò un’interpellanza parlamentare per capire cosa c’è dietro queste calunnie.

Ma cosa ci guadagna Ciancimino a dire queste cose?
Guadagna molto: intanto gli sconti di pena. La sua condanna a cinque anni, dopo le sue prime dichiarazioni, è stata scontata a tre anni. Non è poco: tra indulti e cose varie non avrà nessuna pena. Poi ci guadagna la salvezza del patrimonio che il babbo gli ha lasciato. Sta tutto all’estero.

E chi è il regista che ha interesse a favorire Ciancimino perchè faccia i vostri nomi?
Sicuramente chi lo gestisce è lo stesso pubblico ministero che era il mio accusatore nel processo di primo grado: questo Ingroia. Antonio Ingroia è un fanatico, visionario, politicizzato. Fa politica, va all’apertura dei giornali politici, ha i suoi piani. Ciancimino padre io non l’ho mai visto né conosciuto, non ho preso il suo posto, quindi non c’è nulla: è tutto montato. Qui c’è un’inquisizione. C’è una persecuzione: Torquemada non mollava la sua preda finché non la vedeva distrutta.

Però è difficile sostenere che Ciancimino, Spatuzza e tutti i pentiti che l’hanno accusata nel corso del suo processo, siano manovrati.
Ma questo non è un problema, Andreotti ne aveva anche di più di pentiti che l’accusavano.

Infatti Andreotti è stato riconosciuto colpevole del reato di associazione a delinquere (mafiosa) fino a 1980.
Ma la faccenda di Andreotti è complessa, io non l’ho capita bene, bisognerebbe studiarla. Questi, i miei accusatori, sono preparati. C’è una cordata che non finisce più, una cordata infinita.

Secondo Ciancimino il frutto della trattativa tra mafia e Stato fu proprio Forza italia, una sua creatura.
Questo Ciancimino è uno strano. Lo sanno tutti, a Palermo. E’ il figlio scemo della famiglia Ciancimino.

Non ha l’aria tanto scema.
Non scemo, diciamo che è uno particolarmente labile. Ha un fratello, a Milano, che è una persona dignitosissima, infatti non parla neanche. Tutti sanno invece che questo [Massimo Ciancimino, ndr] è un figlio un pò debosciato: gli piacciono le macchine, i soldi. E’ capace di fare qualunque cosa.

Anche il pentito Gaspare Spatuzza dice che tra lei, Berlusconi e i fratelli Graviano è stato raggiunto un accordo.
Ma di che parliamo? Falsità, calunnie. Sono tutte persone che hanno davanti anni di galera, è da capire. Salvano la loro pelle.

Paolo Borsellino parla di lei e di Berlusconi nell’ultima intervista che ha rilasciato prima di essere ucciso.
Era un’intervista manomessa, manipolata. Quando l’abbiamo vista per intero [nel dvd allegato al Fatto Quotidiano, ndr] abbiamo capito come stavano le cose. Risulta chiaro che Vittorio Mangano non c’entrava niente: quando parlava di cavalli, intendeva cavalli veri.

Però secondo Borsellino quando si parlava di cavalli ci si riferiva a partite di eroina.
Nel gergo può essere, ma in quella circostanza si trattava di cavalli veri. Ho fornito le prove: era un cavallo, con un pedigree, che si chiamava Epoca.

Mangano però parlava anche di un cavallo e mezzo...
Questo era un linguaggio che aveva con altri, con un certo Inzerillo, non con me. Lì “un cavallo e mezzo” era evidentemente una partita di droga.

Capisce che alla gente può sembrare strano che lei dia dell’eroe a uno che, anche a suo dire, trafficava eroina?
Certo, come no, capisco tutto. Ma io non ho detto che è un eroe in senso assoluto. E’ il mio eroe!

E lei ha mantenuto i contatti con Mangano anche dopo che è uscito di galera, quando erano ormai noti i reati che aveva commesso.
Ho tenuto i contatti, certo, l’ho detto. La mia tranquillità nasce dal fatto che non ho niente di cui vergognarmi.

Berlusconi è arrabbiato con lei?
No, perché? Mi conosce bene.

Neanche un pò infastidito da tutti i problemi che gli causa?
Io? Che c’entro io? L’ha voluta lui Forza Italia. Io ho solo eseguito quello che era un disegno voluto dal presidente Berlusconi. Non posso arrogarmi meriti che non ho.

Non sente una responsabilità, visto il suo ruolo politico?
Io sono un politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Quando nel 1994 si fondò Forza Italia e si fecero le prime elezioni, le candidature le feci io: non mi sono candidato perché non avevo interesse a fare il deputato.

Poi, nel 1995, l’hanno arrestata per false fatture.
Mi candidai alle elezioni del 1996 per proteggermi. Infatti, subito dopo, è arrivato il mandato d’arresto.

E la Camera l’ha respinto. Ma le sembra un bel modo di usare la politica?
No, assolutamente. È assurdo, brutto. Speriamo cambi tutto al più presto! Ma non c’era altro da fare...

Perché non si difende fuori dal Parlamento?
Mi difendo anche fuori.

Perché non soltanto fuori?
Non sono mica cretino! Mi devo difendere o no? Quelli mi arrestano!

Se arrestano me cosa faccio, mi candido anch’io?
Ma a lei perché dovrebbero arrestarla? E poi a lei non la candida nessuno, quindi non si preoccupi. Io potevo candidarmi e l’ho fatto.

Ha fatto anche i circoli del Buon governo.
Si figuri che non abbiamo neanche più i telefoni perché non avendo più risorse per pagarli sono stati, diciamo, tagliati.

Voi non avete più risorse?
Sì, sì. Così è. Adesso lasciamo l’affitto della sede di via del Tritone a Roma perché non riusciamo più a mantenerlo.

E il Pdl non vi sovvenziona?
Il Pdl è avverso ai circoli: è fatto di persone che hanno preso il potere e hanno paura di chiunque sia migliore di loro.

Che fa se la condannano in appello?
Vado in Cassazione!

Non si dimette?
Ma sta scherzando?

E se la condannano in Cassazione?
Eh lì vado in galera. A quel punto mi dimetto.

venerdì 18 dicembre 2009

Ponte di Messina: ci siamo.


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Impregilo: al via costruzione Ponte Messina, il titolo corre in testa al Ftse Mib
Finanzaonline.com - 18.12.09/11:44


Tra sei giorni è previsto l'avvio dei cantieri in Calabria per la costruzione del Ponte di Messina, dopo anni di tiraemolla. E' su questa notizia, anticipata a Il Messaggero da Pietro Ciucci, numero uno dell'Anas, che Impregilo corre a Piazza Affari. In questo momento il titolo del general contractor è il migliore del paniere Ftse Mib evidenziando un rialzo di oltre 3 punti percentuali a 2,3875 euro.
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Piazza Affari vira in negativo, +3% per Impregilo
Finanzaonline.com - 18.12.09/12:52


Cambio di umore per gli indici di Piazza Affari. Al giro di boa di seduta l'indice Ftse Mib cede lo 0,23% a quota 22.625 punti. Si mantiene in testa all'indice milanese Impregilo (+3,14%) sull'imminente via dei lavori in Calabria per la costruzione del Ponte di Messina. Prysmian sale del 2,14%, +1% per Stm. In coda i bancari: -2,42% per UBI e -1,69% per banco Popolare.
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Impregilo sugli scudi con il via ai lavori per il ponte di Messina
18/12/2009


Scatta in avanti a piazza Affari il titolo Impregilo dopo l'ok del Cipe all'avvio dei cantieri per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, opera da 6 miliardi di euro circa. La cerimonia per l'inizio dei lavori, prevista per il 23 dicembre, slitterà per permettere anche al premier, Silvio Berlusconi di partecipare, ma entro la fine dell'anno cominceranno i lavori in Calabria, come ha detto il presidente dell'Anas, Pietro Ciucci.

Ora Impregilo sale del 3,36% a 2,385 euro dopo aver toccato un massimo a 2,40 euro. "C'è il via libera e il supporto del Governo. I contratti sono stati aggiornati. C'è l'ok per la nuova convenzione. E tra sei giorni è previsto l'avvio dei cantieri in Calabria. Insomma abbiamo staccato il biglietto per realizzare l'opera", ha sottolineato Ciucci.

I lavori dunque partiranno subito e slitterà solo la cerimonia della prima pietra, ha precisato Ciucci. "Abbiamo deciso di attendere, in modo che possa essere presente anche il presidente Silvio Berlusconi", costretto a letto per l'aggressione della scorsa settimana a Milano.

Il Ponte deve essere completato entro il 2016. Entro l'estate ci sarà il progetto definitivo, già ampiamente elaborato e studiato, e "daremo certezze ai privati che vogliono partecipare", ha concluso il presidente dell'Anas. La ricerca dei finanziamenti delle società private per i lavori del Ponte sullo Stretto di Messina dovrebbe iniziare dalla seconda metà del 2010.

Eurolink è il contraente generale che realizzerà il Ponte e che ha come capofila Impregilo e altre società esperte in questo tipo di opere: le italiane Condotte d'Acqua, Cmc di Ravenna, la Aci Consorzio Stabile e la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries Co Ltd. Incaricati della progettazione sono invece Cowi A/S (Danimarca) Buckland & Taylor Ltd (Canada) Sund & Baelt A/S (Danimarca). Per il ponte la quota di Impregilo dei fondi già stanziati è di circa 500 milioni di euro.
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Cipe, ok a 330 mln per lavori Ponte Stretto Messina
giovedì 17 dicembre 2009 11:26

ROMA (Reuters) -
Il Cipe ha approvato la destinazione di risorse per 330 milioni per il Ponte sullo Stretto di Messina. Lo si legge in una nota delle Infrastrutture.

"Approvate le risorse necessarie all'aumento del capitale della società Stretto di Messina garantendo all'Anas e alle Fs una quota pari a 330 milioni di euro, aggiuntivi a quelli previsti nella Finanziaria 2010. Risorse queste che verranno utilizzate nei prossimi anni a fronte del fabbisogno derivante dalla realizzazione del Ponte", si legge nella nota.

"Il completamento dei finanziamenti relativi alla Variante di una linea ferroviaria a Cannitello per complessivi 26 milioni di euro consentirà, inoltre, la sottoscrizione dei contratti e l'avvio dell'esecuzione dei lavori come programmato nella prossima settimana", aggiunge la nota.

Tra gli altri provvedimenti approvati, la nota elenca 162 milioni per due lotti della statale Olbia Sassari.

Il Cipe ha anche approvato il contratto di servizio delle Fs con cui si garantisce il servizio passeggeri a lunga e media percorrenza.
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Stretto di Messina: un ponte per le mafie
di Paolo De Gregorio


Le ultime dichiarazioni rilasciate pochi giorni fa dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sulla costruzione del ponte dello stretto di Messina, hanno suscitato molteplici riflessioni tra l’opinione pubblica. Vi proponiamo quella di un nostro lettore…

La questione del ponte sullo stretto di Messina mi evoca immediatamente l’opzione nucleare, in entrambi i casi viene scelta la strada più costosa
La questione del ponte sullo stretto di Messina mi evoca immediatamente l’opzione nucleare, in quanto in entrambi i casi viene scelta la strada più costosa, più pericolosa, più irrazionale, più lunga come realizzazione, al posto di scelte non pericolose, praticabili subito, senza impatti ambientali.

Naturalmente, per quanto riguarda l’energia, parlo del fotovoltaico diffuso, che è in grado di dare, se solo lo si volesse, tutta l’energia di cu abbiamo bisogno. Basterebbe incentivarlo come si fa con l’auto, rottamando tra l’altro vecchi impianti a gasolio o a gas e sostituendoli con questa meravigliosa, efficiente fonte rinnovabile.

La resistenza delle lobby del petrolio e del nucleare crea condizioni per cui tale innovazione energetica non venga fatta, anzi viene ostacolata da norme burocratiche tese a scoraggiare chi vuole cambiare, e non incentivata come buon senso vorrebbe.

È chiaro che se l’opinione pubblica si rendesse conto che il fotovoltaico funziona e ci da vera energia pulita e non pericolosa, e vedesse questo fatto realizzato in concreto, la follia del ritorno al nucleare sarebbe seppellita per sempre.

Per il ponte sullo stretto di Messina il discorso è identico: si sceglie la via più assurda perché mette in moto una grande mole di denaro, di appalti, di affari che, in quelle regioni (Calabria e Sicilia), significa ingrassare le due mafie, che poi ricorderanno chi devono votare alle elezioni.

Se invece usassimo il metro di risolvere i problemi senza offrire opportunità alle mafie, la questione del ponte cadrebbe nel ridicolo, poiché non basta velocizzare il traffico tra Sicilia e Calabria, guadagnando qualche decina di minuti rispetto ai traghetti, ma vi è la questione dell’autostrada Salerno-Reggio, che è un budello impercorribile, la cui modernizzazione richiederebbe spese superiori a quelle per il ponte. L’attuale traffico su questa arteria risulta così intasato che i tempi di percorrenza di un TIR, che dalla Sicilia va al Nord, sono tempi commercialmente inaccettabili.

La soluzione sono le autostrade del mare, con traghetti pensati solo per il trasporto dei TIR, mezzi superveloci, che possono svuotare facilmente la Salerno-Reggio, che possono collegare in poche ore Palermo con Salerno-Civitavecchia-Livorno-Genova e Catania con Bari-Ancona-Ravenna-Trieste, realizzando così anche il compito di ridimensionare il traffico sulla Adriatica.

Basta fare uno studio sui volumi di traffico su queste due arterie e mettere a disposizione un numero di navi adeguato. Per il traffico nei due sensi tra Sicilia e continente il conto sarebbe presto fatto, basterebbe chiedere alle Ferrovie dello Stato quanti biglietti vendono al giorno per traghettare i Tir.

Sarebbe ora di smetterla di occuparci della vita, più o meno dissoluta, del Cavaliere e contrapporre ai suoi programmi, spesso distruttivi, proposte serie, razionali, praticabili, andando a parlare con le popolazioni interessate e mettendo in piedi un movimento anti-ponte e anti-nucleare, fra la gente dei possibili siti nucleari, fra la gente di Messina e Reggio Calabria, e non dai comodi studi televisivi o dai palazzi del potere.
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Ponte Stretto,Tozzi: "rischia di unire due cimiteri"
di Mario Tozzi
12/4/2009


"Nessun terremoto e' prevedibile. E cio' che ha detto il ricercatore abruzzese dell'Infn e' una cosa priva di qualsiasi fondamento, non si basa su alcun dato scientifico. È piu' che altro una sensazione. Fino adesso al mondo nessuno e' riuscito a realizzare strumenti in grado di prevedere terremoti. Se ci fosse un sistema ben venga ma quello non lo e', e non ha alcuna validazione scientifica. Peraltro Giuliani non e' ne' un geologo ne' un geofisico...". Lo afferma Mario Tozzi, geologo, primo ricercatore al Cnr intervistato dal direttore di Articolo21 Stefano Corradino.

"L'unica cosa che si puo' fare e' prevenire - afferma Tozzi -. Risanando, ricostruendo e soprattutto osservando leggi antisismiche. Una cosa che non e' stata fatta in alcun modo. Se non si osservano questi criteri c'e' poco da fare... Di manutenzioni non se ne fanno ne' per gli edifici pubblici (con i soldi pubblici) ne' per gli edifici privati, che potrebbero essere risanati concedendo ai privati stessi incentivazioni e sgravi fiscali se ristrutturano in maniera antisismica". Tozzi e' preoccupato per il piano case del governo.

"Chiedo che il governo preveda che nei comuni a rischio non sia possibile fare ampliamenti di alcun genere perche' altrimenti rischiamo di aggravare la situazione nell'intero paese. Costruire un piano in piu' significa condannare al collasso una struttura alla prima scossa sismica. E poi e' assurdo pensare che il progettista sia l'unico soggetto a certificare se il lavoro e' fatto bene o male".

Oggi intanto il premier Berlusconi ha parlato del Ponte sullo Stretto di Messina dicendo che si fara' e che e' "un'opera prioritaria, epocale e fondamentale per l'unita' del paese"."Io penso - afferma il geologo - che sia scarsamente produttivo dal punto di vista economico, non favorira' gli spostamenti ma soprattutto rischioso. Per problemi di sismicita' ma non solo, perche' quella zona e' funestata da frane a scivolamento profondo. Grossi spostamenti di terreno soprattutto in Calabria che possono addirittura interessare le zone di ancoraggio dei piloni.

Il ponte rischia di unire non due regioni ma due cimiteri". Critico anche sull'azione dei media. "In termini di quantita' - conclude Tozzi - la copertura e' stata buona come qualita' meno. Si e' puntato troppo sulle dichiarazioni del ricercatore abruzzese Giuliani e poco sul fatto che in Italia non si fa prevenzione e che quindi siamo tutti a rischio".
PONTE
I costi del Ponte
4.732 milioni di Euro
di cui 3.410 per il ponte
1.322 per gli allacci stradali e ferroviari.
Tempi di esecuzione
6 anni dall'inizio dei lavori
che è previsto per la fine del
2006 inizio 2007

NO-PONTE
VOGLIAMO LA TAV TRA GLI AEROPORTI DI PUNTA RAISI (PALERMO) E FONTANAROSSA (CATANIA)

SONDAGGIO de "il Sole 24 Ore"

mercoledì 16 dicembre 2009

Sono solo, sono solo, non c'è nessuno dietro di me...

"Poco prima che l'aggressore scaraventasse contro il presidente la statuetta ho visto che c'è stato dietro... come se lui si stesse dimenando per prendere qualcosa da qualcuno che ovviamente non ho visto. Mi è sembrato di vedere proprio questo gesto che lui stesse prendendo qualcosa e questo l'ho visto perchè avevo degli amici che erano lì alla sbarra e mi stavo preoccupando che potessero salutare il presidente del Consiglio [...] E poi mi è sembrato di vedere un nylon, come se questa cosa fosse avvolta in un nylon. Quando poi è stato catturato dalla polizia e dal servizio d'ordine, la cosa che mi ha fatto tornare in mente quello che avevo visto poco prima è stato il fatto che lui ha detto, appena catturato: sono solo, sono solo, non c'è nessuno dietro di me'. Io invece ho avuto la percezione che qualcuno gli stesse passando qualcosa".

Andrea Di Sorte, coordinatore dei club della Libertà
"Il premier ha il diritto di stare tra la folla"
De Magistris: capire se c'è un suggeritore

di Buccini Goffredo

da il Corriere della Sera di mercoledì 16 dicembre 2009, pagina 9

«Sa qual è l'assurdità, poi?».

Quale?

«Non si può dire al presidente del Consiglio stattene chiuso in casa. Berlusconi ha tutto il diritto di scendere in strada a parlare con la folla, anzi mi piace l'idea di un politico che va tra la gente. Il punto è proteggerlo».

Quindi?

«Non voglio insinuare nulla: ma con la sicurezza che ha, stupisce sia stato colpito».

Ha sospetti, da ex pm?

«Beh, proprio da ex pm sono abituato ad attendere l'esito dell'indagine».

Qualcuno avrà aiutato Tartaglia?

«Bisogna chiarire se è andato là da solo, se qualcuno gliel'ha suggerito, se l'hanno lasciato fare...».

Pensa a mandanti morali?

«Ma no! Quelle su Di Pietro sono calunnie e falsità. Vorrei vedere se Tartaglia è stato agevolato o se qualcuno l'ha potuto istigare. Aspettiamo».

Dopo la bufera, Luigi De Magistris vuole «politicizzare», ricucire, relativizzare le differenze con Tonino Di Pietro raccontate sui giornali come l'ennesima rottura nell'Italia dei Valori, il segno della nuova Opa che ai primi di febbraio il delfino mai designato potrebbe lanciare contro il fondatore non più indiscusso, al congresso del partito. E tuttavia gli accenti sono diversi per quanto Tonino il Vecchio e Gigino il Giovane sembrano uguali, troppo uguali, anche nelle foto del 5 dicembre, al No Berlusconi Day, con le sciarpe viola al collo e il sorriso sgranato per i flash. «De Magistris è Di Pietro allo specchio» e lo metterà alle corde, prevede Alessandro Campi di FareFuturo. De Magistris da Bruxelles sbuffa, tossisce, s'è appena alzato dal suo scranno di eurodeputato, batte e ribatte sulla difesa della libertà del web:

«E' una anomalia italiana cercare di controllare la Rete prendendo a pretesto i soliti imbecilli»

Poi giura:


«Mi può non credere, ma io e Antonio non abbiamo avuto mai divergenze. Anzi, gli ho telefonato poche ore fa. Ci siamo detti: è paradossale che in tutta la faccenda sotto attacco ci finiamo noi».

Veramente ci fluisce lui. Lei ha fatto la figura del bravo ragazzo, condannando senza se e senza ma l'aggressione a Berlusconi.

«Io e lui non siamo fatti con lo stampone, non voglio dire chi è meglio. Ma le idee sono quelle: difesa della Costituzione e opposizione netta».

Di Pietro per cancellare l'ultima battaglia con lei aveva detto: «Siamo d'accordo su tutto, l'unica cosa è che non andiamo a letto insieme». Siete in quella fase?

«Ognuno ha il suo modo di esprimersi. Ma le idee sono quelle...».

Scusi se la interrompo. Di Pietro ha appena detto alla Camera che Fabrizio Cicchitto, capogruppo PdL, ha «condannato a morte» Travaglio, Santoro e tutti i presunti protagonisti della «campagna d'odio» contro Berlusconi. Condivide?

«Penso che Cicchitto usi parole da peronismo del Terzo millennio: lo scriva, noi non ci faremo intimidire».

Le chiedevo di Di Pietro. Condivide i toni del suo leader?

«Condivido sì, nel senso che nel PdL stanno cambiando le carte in tavola. Poi non sono abituato a mettere la firma su dichiarazioni degli altri. Ma le diversità, tra Di Pietro e me, sono ricchezza per l'IdV e il centrosinistra».

Lei parla in politichese, ma molti pensano che voglia far fuori Tonino.

«Falso».

Dunque al congresso sosterrà Di Pietro per la presidenza dell'IdV?

«Non ci sono alternative a Di Pietro. Io porterò nel partito le mie idee».

Per questo si è iscritto?

«Beh, non sono ancora iscritto».

Ma l'aveva dato per fatto...

«Il percorso dovrebbe essere quello, valuteremo con Di Pietro. Ma, scusi se insisto, vorrei che scrivesse che la mia posizione è sempre stata chiara su Berlusconi: condanna piena della violenza senza arretrare di un millimetro contro il peronismo».

Secondo lei Di Pietro pu nutrire rancori personali verso Berlusconi, magari dai tempi di Mani Pulite?

«Non penso, lo conosco. E poi siamo nel 2009. A quell'epoca ero un ragazzo...».

...che si sognava magistrato...

«Sì, la magistratura è il sogno di una vita».

Per questo non voleva mollare, neanche quando l'hanno eletta eurodeputato?

«Io e Di Pietro siamo tra i pochissimi che hanno lasciato la toga entrando in politica».

Di Pietro era infognato nelle inchieste di Brescia...

«Beh, sono storie diverse».

Andrebbe a trovare Berlusconi in ospedale?

«No. E una passerella».

Gigino il Giovane e Tonino il Vecchio, diversi ma uguali. Almeno un po'.

Luigi De Magistris, 42 anni, nato a Napoli, ha intrapreso la carriera di magistrato nel '95. Dal '98 al 2002 ha lavorato alla Procura della Repubblica di Napoli per poi passare come sostituto procuratore al Tribunale di Catanzaro. Nel 2009 lascia la magistratura e si candida alle elezioni del Parlamento europeo come indipendente nell'italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Diventato europarlamentare, viene eletto presidente della commissione del Parlamento europeo preposta al controllo del bilancio comunitario.