sabato 11 luglio 2009

Berlusconi nei guai con la malavita organizzata

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di Rita Pennarola

07/07/2009 - L'inchiesta di Bari su squillo e coca party potrebbe nascondere una ben più grave verità: il premier, accerchiato dalle pressioni della malavita organizzata, deve uscire di scena. L'inchiesta di Napoli sui collegamenti dei Letizia va avanti, ma intanto tutto lascia intendere che il capo del governo abbia ormai politicamente le ore contate.

Domanda: perchè una forza politica largamente maggioritaria, sia per consensi che per popolarità, dovrebbe essere costretta a sbarazzarsi del leader carismatico che l'ha condotta al governo del Paese, conquistando per giunta decine di amministrazioni locali sparse da nord a sud del territorio? Tutti pronti a fare harakiri in nome di non si sa quale processo di moralizzazione interna, mandando all'aria le posizioni più ambite di governo? O moralisti parrucconi che hanno scoperto la loro vocazione puritana proprio quando sono arrivati all'apice di ogni immaginabile aspirazione politica?
L'attacco a Silvio Berlusconi, quella bombetta a grappolo a base di escort da quattro soldi che esplode all'indomani del caso Letizia-camorra, potrebbe avere numerosi mandanti, com'è stato detto. Un dato, però, appare subito fuor di dubbio: fra loro ci sono uomini della sua stessa maggioranza. E non suona certo come una novità che ad allearsi con questa fazione sia quella parte da sempre sotto traccia del Partito democratico che faceva e fa capo a Massimo D'Alema, per anni, fin dai tempi della Bicamerale, compartecipe del patto occulto sull'intangibilità del conflitto d'interessi proprio con lo stesso Cavaliere. Ed oggi fautore del partito invisibile che, giorno dopo giorno, lo ha messo al muro e lo sta fucilando. Perchè Silvio Berlusconi - questo ormai è chiaro - sul piano politico ha davvero le ore contate.
Resta il quesito principe: cui prodest? Torna così in campo quel convitato di pietra che, solo, può offrire un quadro in cui tutto torna e trova una spiegazione logica: i Casalesi.

LE INDAGINI DELLA DDA

Bocche cucite, al Palazzo di Giustizia di Napoli. Dopo la notizia - data in esclusiva nello scorso numero di giugno dalla Voce delle Voci - sulle indagini in corso per accertare eventuali collegamenti fra Benedetto Letizia detto Elio, protagonista del Noemigate, e il clan Letizia di Casal di Principe, a distanza di un mese il silenzio è di piombo. Nessuna smentita, richiesta di rettifica o azione giudiziaria è giunta alla Voce (né all'Unità, che aveva ripreso l'inchiesta) dai familiari della ragazza né dai suoi legali. Analogamente niente è trapelato dalla Procura, dove secondo voci di corridoio le indagini sulla presunta parentela - e relativi sviluppi - sarebbero tuttora in corso e coperte dal massimo riserbo investigativo. «Difficile - spiegano in ambienti giudiziari napoletani - che non sia stato emesso un comunicato di smentita nel caso in cui le indagini non avessero dato alcun esito. Più probabile, invece, che si stia dando corso all'accertamento di ulteriori, complessi elementi lungo quel filone».
Vale la pena allora di riepilogare in estrema sintesi il quadro che era emerso dall'inchiesta della Voce di giugno.
Siamo alla fine del 2008 quando l'allora diciassettenne Noemi Letizia appare per la prima volta ad un ricevimento ufficiale organizzato dal premier a Villa Madama. A Natale è alla festa del Milan con sua madre, Anna Palumbo, al tavolo di uno storico big dell'entourage presidenziale, Fedele Confalonieri. La giovane, insieme ad altre ragazze, trascorrerà poi le feste di Capodanno a Villa Certosa. A rivelarlo, una fonte non proprio adamantina: l'ex fidanzato Gino Flaminio da San Givanni a Teduccio, un passato di guai con la giustizia.
Non si saprà più nulla di lei fino al 26 aprile 2009, sera fatidica del suo diciottesimo compleanno, quando Silvio Berlusconi in persona arriva a Casoria nella ruspante Villa Santa Chiara, sede dei festeggiamenti e, prima del brindisi con la festeggiata, i camerieri e il parentado, si apparta per una buona mezz'ora in una saletta riservata con Benedetto Letizia. La notizia esplode sui giornali di mezzo mondo e si rincorrono le indiscrezioni piccanti. Noemi sarà sua figlia? O un'amante giovane dell'uomo più potente d'Italia? Fin qui il gossip. Unica Voce fuori dal coro, la nostra. Che rivela l'esistenza di un'indagine della Dda sul filone camorra.

MESI DI FUOCO

Che cosa stava accadendo in quegli stessi mesi, fra Napoli e Caserta?
La guerra di camorra era esplosa il 18 maggio 2008 con l'omicidio di Domenico Noviello a Baia Verde, un villaggio turistico di Castelvolturno. Noviello, titolare di un'autoscuola, era un testimone di giustizia: aveva contribuito a far condannare casalesi di spicco come i fratelli Alessandro e Francesco Cirillo. Il 1 giugno sotto i colpi dei killer finisce Michele Orsi, l'imprenditore coinvolto nei traffici di rifiuti che aveva deciso di collaborare con gli inquirenti. Sempre a giugno si conclude in appello il processo Spartacus a carico della cosca di Casale, con numerose condanne all'ergastolo per uomini del gruppo Bidognetti. Nel corso di un'udienza, allo scrittore Roberto Saviano erano state rivolte minacce di morte attraverso la lettura di un brano da parte di un avvocato dei boss, Michele Santonastaso. Un'accelerazione imprevista. Quasi una sfida. Un modo eclatante di attirare l'attenzione che non aveva precedenti nel modo di agire della cosca, ormai disposta ad uscire allo scoperto pur di difendere i suoi affari miliardari.
A ottobre un pentito rivela che ci sarebbe un piano del clan per uccidere Saviano entro Natale. Negli stessi giorni le indagini portano alla luce alcuni legami d'affari fra i corleonesi del superlatitante Matteo Messina Denaro e il clan dei casalesi. La guerra, a questo punto, si fa aperta. In gioco ci sono partite come i lucrosi traffici di rifiuti, in Italia, e, all'estero, le attività di riciclaggio che, nella sola Spagna, vedono i Casalesi e i loro più stretti alleati, gli Scissionisti di Secondigliano, impegnati fra l'altro a edificare villaggi turistici in mezza Costa del Sol.
È a quel punto che il Viminale sferra un attacco senza precedenti. Il ministro leghista Roberto Maroni, incurante della presenza nel suo stesso governo di uomini come il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino da Casal di Principe indicato dal pentito Gaetano Vassallo come referente dei clan, in quattro-cinque mesi riesce a portare a segno risultati che i governi della Repubblica in oltre sessant'anni non erano riusciti nemmeno a immaginare.
La miccia scoppia dopo la strage del 18 settembre 2008, quando a Castelvolturno i Casalesi uccidono sei immigrati e il titolare di una sala giochi. Il 30 settembre scatta la prima maxioperazione: 127 ordini di custodia cautelare e sequestro di beni per 100 milioni di euro. In manette il gruppo di fuoco del clan, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo e Giovanni Letizia. Spagnuolo, che sarà fra i primi a pentirsi, sta dando un importante contributo alle indagini.
Nuovo blitz l'11 ottobre: la Dda partenopea arresta sette dei dieci ricercati del clan Bidognetti. Fra il 7 e il 22 novembre nella rete finiscono altri esponenti fra cui Gianluca Bidognetti, figlio del superboss Francesco (Cicciotto è Mezzanotte). Il 14 gennaio 2009 termina la fuga del boss stragista Giuseppe Setola. Nuove operazioni fra marzo e aprile sgominano fazioni del clan operanti anche a Milano, Modena e Reggio Emilia. L'attacco al cuore dei Casalesi culmina il 29 aprile con l'operazione Principe, nell'ambito della quale viene arrestato Michele Bidognetti, fratello del capoclan, e vengono sequestrati beni del valore di 5 milioni di euro. E il 18 maggio a finire dietro le sbarre è anche Franco Letizia (il suo arresto segue di poco quello del padre Armando Letizia), reggente del gruppo criminale.
Non meno stringente il pressing ai danni degli scissionisti di Secondigliano: il 12 febbraio di quest'anno gli inquirenti catturano un personaggio chiave del traffico di stupefacenti sull'asse Spagna-Scampia: il transessuale Ketty, al secolo Ugo Gabriele. A maggio la polizia arresta a Marbella il boss Raffaele Amato e, a Mugnano di Napoli, il pregiudicato Antonio Bastone, latitante dal 2006.
Il rapporto annuale delle Fiamme Gialle, reso noto nei giorni scorsi, in proposito parla chiaro: «L'attività volta all'aggressione dei patrimoni accumulati dai clan camorristici - in particolare dei Casalesi - ha consentito di sequestrare beni e capitali di provenienza illecita per oltre 139 milioni di euro e di proporre, per l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale, beni e disponibilità finanziarie per un valore complessivo prudenzialmente valutato in oltre 231 milioni di euro». «Un dato - viene ancora sottolineato - decuplicato rispetto a quello del corrispondente periodo del 2008». Ed è lo stesso ministro Maroni a parlare di un “modello Caserta”, «che vogliamo mantenere ed estendere, concentrando l'attenzione sull'aggressione ai patrimoni mafiosi».

BERLUSCONI ZITTO

Si è mai visto un capo del governo che, a fronte di risultati così rilevanti nel contrasto alla malavita organizzata, non abbia mai espresso, nel corso dei mesi, operazione dopo operazione, almeno un cenno ufficiale di plauso o soddisfazione, anche al solo scopo di gonfiare il petto per le brillanti prestazioni di un ministro del suo governo?
Niente. Silenzio assoluto del premier, prima, durante e dopo il caso Noemi.
Ed oggi, ferme restando le indagini top secret su Benedetto Letizia, quel silenzio si trasforma in un ulteriore, decisivo elemento per comprendere la guerra sottobanco dichiarata al premier. Prima dalla camorra. E poi, proprio per questo, dalla parte non compromessa del suo esecutivo. Secondo la ricostruzione avanzata il mese scorso dalla Voce - e finora mai smentita - quella maledetta domenica sera del 26 aprile Berlusconi, dopo aver cercato con ogni mezzo di sottrarsi, fu costretto a mostrarsi nella sala cerimonie di Casoria per dare un segnale eloquente a chi di dovere. Un ricatto, una minaccia grave pendevano sul suo capo ad opera di boss capaci di passare da affari milionari in mezzo mondo ad attentati sanguinari rivolti alle singole persone. L'attrezzatura non manca.
Sulle ragioni di quel ricatto si possono avanzare numerose ipotesi. A cominciare - come abbiamo fatto nell'inchiesta della Voce di giugno - da quello schiaffo in piena faccia agli affari dei clan che il tandem Berlusconi-Guido Bertolaso ha inferto con l'apertura dell'inceneritore di Acerra, destinato a mandare letteralmente “in fumo” traffici da milioni e milioni di euro cash gestiti fino ad allora dagli Scissionisti coi Casalesi. E tutto questo, benchè a liberare Napoli da tonnellate di pattume in meno di due settimane fossero state anche imprese in odor di camorra (è accertato che il settore, nel capoluogo partenopeo e provincia, è gestito dai clan in regime di monopolio).
Alla luce dell'inchiesta aperta dalla Procura di Bari sui giri di “squillo” e starlette che avrebbero frequentato Palazzo Grazioli e Villa Certosa grazie alle mirabolanti iniziative dell'imprenditore Gianpaolo Tarantini, potrebbero ora aprirsi scenari paralleli.

NOEMI ANCH'IO!

Quale che sia stata la molla che aveva obbligato Berlusconi alla “discesa di Caloria”, la popolarità che da allora ha circondato Noemi Letizia (con il conseguente valore aggiunto sul suo nome in caso di apparizioni televisive, serate, vendita di servizi fotografici, etc.) non poteva non fare gola ad altre, ben più spregiudicate frequentatrici delle magioni presidenziali. Soprattutto se si tratta di persone senza scrupoli, avvezze a trarre benefici dalle loro prestazioni anche attraverso l'uso di registratori nascosti, arma suprema per i ricatti.
La costola dell'inchiesta barese condotta dal pm Giuseppe Scelsi sulla presunta induzione alla prostituzione (di persone, peraltro, che paiono essere tutt'altro che estranee a quella attività) trova il suo momento clou con l'arrivo spontaneo in Procura della escort Partizia D'Addario. La quale, in un primo momento, si mostra come una donna irreprensibile irretita dai lupi mannari. Poi viene fuori il suo passato. Quello vero. Ed emerge, fra l'altro, l'inquietante amicizia con Marisa Scopece, la giovane prostituta d'alto bordo brutalmente assassinata e data alle fiamme nelle campagne baresi, a settembre 2007. Pare che avesse deciso di parlare, di fare i nomi dei personaggi altolocati ai quali si accompagnava. In quell'occasione gli inquirenti risalirono alla D'Addario grazie ai tabulati telefonici della donna uccisa. Ai pubblici ministeri lei confermò il legame con Marisa e la comune amicizia con «molte altre persone».
Da Patrizia “Brummel” D'Addario in poi, e dalla sua consegna “spontanea” della audiocassette sulle feste presidenziali, scatta la ressa di pseudo-veline pronte a raccontare di aver preso parte ai bagordi in casa del premier. Un diluvio di “rivelazioni” gossippare. «Un exploit - fa notare un esperto di intelligence - molto simile a quelli che i manipolatori degli effetti mediatici fanno scattare per coprire altre verità, per mettere la sordina a fenomeni ben più gravi, che così sfuggono al controllo dell'opinione pubblica».
Al momento non è chiaro se lo “spontaneismo” della D'Addario sia stato dettato da ambizioni personali, o invece pilotato da qualcuno che doveva infliggere il colpo di grazia a Berlusconi, per allontanare dai vertici dello Stato un uomo invischiato in manovre camorristiche tali da mettere in pericolo la sicurezza del Paese. Ad onta dell'affollamento di sempre nuove ragazze pronte a “vuotare il sacco” in cambio di notorietà, alcuni elementi farebbero propendere per la seconda ipotesi. In primo luogo la compresenza nel Pdl, nell'esecutivo nazionale e nei governi locali di destra, di personaggi tirati in ballo da pentiti o da rapporti delle commissioni d'accesso in comuni sciolti per mafia (vedi Sant'Antimo e vedi il neo presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro), accanto a figure che - in primis i leghisti - alla malavita organizzata partenopea la guerra l'avevano dichiarata in tempi non sospetti. Ed ora hanno impresso l’accelerata finale.
«Se un asse sotterraneo per il de profundis politico a Berlusconi esiste - viene sottolineato in ambienti investigativi romani - vede certamente in primo piano la parte “pulita” del governo e del Pdl». Che avrebbe incontrato come alleata, lungo la strada, la Puglia di quel Massimo D'Alema che la partita di fine anni novanta col Cavaliere l'ha chiusa da tempo. Ed oggi si trova, per puro “caso”, ad annunciare con ventiquattr'ore di anticipo, dai microfoni di Lucia Annunziata, quella “scossa” in arrivo da Bari destinata a segnare l'uscita di scena dell'uomo di Arcore. Una vicenda che passa per le mani di un pubblico ministero di Magistratura Democratica. E per una Procura che ha sede nell'enclave PD del sindaco Michele Emiliano. Ex magistrato.
È il “complotto” di cui parlano il ministro per gli affari regionali Raffaele Fitto e il Giornale? «Più che altro - spiega la nostra “fonte” - una cordata. Un'alleanza anomala che nasce per motivi di stabilità democratica». In ballo ci sarebbero le sorti di un Paese il cui premier deve rispondere alle richieste dei clan. Ma questo, finora, nessuno ha avuto il coraggio di ammetterlo.

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