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di Peter Gomez
Adesso c’è la prova documentale. Davvero, secondo la procura di Palermo, Silvio Berlusconi era in contatto con i vertici di Cosa Nostra anche dopo la sua “discesa in campo”, come era stato già stato raccontato da molti collaboratori di giustizia.
I corleonesi di Bernardo Provenzano, infatti, scrivevano al premier per minacciarlo, blandirlo, chiedere il suo appoggio e offrirgli il loro. Lo si può leggere, qui, nero su bianco, in questa lettera da tre giorni depositata a Palermo gli atti del processo d’appello per riciclaggio contro Massimo Ciancimino, uno dei figli di don Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo, morto nel 2002.
Una lettera che “L’Espresso” on line pubblica in esclusiva.
Si tratta della seconda parte di una missiva (quella iniziale sembra essere stata stracciata e comunque è andata per il momento smarrita) in cui in corsivo sono state scritte le seguenti frasi: «… posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive».
Chi abbia vergato quelle parole, lo stabilirà una perizia calligrafica. Ai periti verrà infatti dato il compito di confrontare la lettera con altri scritti di uomini legati a Provenzano. I primi esami hanno comunque già permesso di escludere che gli autori siano don Vito, o suo figlio Massimo, che dopo una condanna in primo grado a cinque anni e tre mesi, collabora con la magistratura. Tanto che finora le sue parole hanno, tra l’altro, portato all’apertura di un’inchiesta per concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento mafioso contro il senatore del Pdl Carlo Vizzini, i senatori dell’Udc Salvatore Cuffaro e Salvatore Cintole, e il deputato dell’Udc e segretario regionale del partito in Sicilia, Saverio Romano.
Con i magistrati Massimo Ciancimino ha parlato a lungo della lettera, che lui ricorda di aver visto tra le carte del padre quando era ancora intera. Ma tutte le sue dichiarazioni sono state secretate. Le poche indiscrezioni che trapelano da questa costola d’indagine, già in fase molto avanzata e nata dagli accertamenti sul patrimonio milionario lasciato da don Vito agli eredi, dicono comunque due cose. La prima: la procura ritiene di aver in mano elementi tali per attribuire il messaggio a dei mafiosi corleonesi vicinissimi a Bernardo Provenzano, il boss che per tutti gli anni Novanta ha continuato ad incontrarsi con Vito Ciancimino. Anche quando l’ex sindaco, dopo una condanna a 13 anni per mafia, si trovava detenuto ai domiciliari nel suo appartamento nel centro di Roma. La seconda: i magistrati sono convinti che la lettera dei corleonesi sia arrivata a destinazione.
Il documento è stato trovato tra le carte personali di don Vito. A sequestrarlo erano stati, già nel 2005, i carabinieri: «Parte di Foglio A4 manoscritto, contenente richieste all’On. Berlusconi per mettere a disposizione una delle sue reti televisive», si legge un verbale a uso tempo redatto da un capitano dell’Arma.
Incredibilmente però la lettera era rimasta per quattro anni nei cassetti della Procura e, all’epoca, non era mai stata contestata a Ciancimino junior nei vari interrogatori. L’unico accenno a Berlusconi che si trova in quei vecchi verbali riguarda infatti una domanda sulla copia di un assegno da 35 milioni di lire forse versato negli anni ‘70-’80 dall’allora giovane Cavaliere al leader della corrente degli andreottiani siciliani.
Dell’assegno si parla a lungo in una telefonata intercettata tra Massimo e sua sorella Luciana il 6 marzo del 2004. Venti giorni dopo si sarebbe tenuta a Palermo la manifestazione per celebrare i dieci anni di Forza Italia. Luciana dice al fratello di essere stata chiamata da Gianfranco (probabilmente Micciché, in quel periodo assiduo frequentatore dei Ciancimino) che l’aveva invitata alla riunione perché voleva presentarle Berlusconi.
Luciana: «Minchia, mi telefonò Gianfranco… ah, ti conto questa… all’una meno venti mi arriva un messaggio…»
Massimo: L’altra volta l’ho incontrato in aereo»
Luciana: «Eh… il 27 marzo, a Palermo… per i dieci anni di vittoria di Forza Italia, viene Silvio Berlusconi. È stata scelta Palermo perché è la sede più sicura… eh… previsione…. In previsione saremo 15mila…»
Massimo: «Ah»
Luciana «…eh allora io dissi minchia sbaglia, e ci scrivo stu messaggio: “rincoglionito, a chi lo dovevi mandare questo messaggio, sucunnu mia sbagliasti” …in dialetto, eh …eh (ride) e mi risponde: “suca” …eh (ride) …mezz’ora fa mi chiama e mi fa: “Minchia ma sei una merda” e allora ci dissi “perché sono una merda”. Dice, hai potuto pensare che io ho sbagliato a mandare …io l’ho mandato a te siccome so che tu lo vuoi conoscere [Berlusconi, nda] …io ti sto dicendo che il 27 marzo »
Massimo: «E digli che c’abbiamo un assegno suo, se lo vuole indietro…»
Luciana «(ride) Chi, il Berlusconi?
Massimo: «Si, ce l’abbiamo ancora nella vecchia carpetta di papà…»
Luciana: « Ma che cazzo dici»
Massimo : «Certo»
Luciana: «Del Berlusca?»
Massimo: «Si, di 35 milioni, se si può glielo diamo…»
Ma nella perquisizione a casa Ciancimino, la polizia giudiziaria l’assegno non lo trova. Interrogato il 3 marzo 2005, Ciancimino jr. conferma solo che gliene parlò suo padre, ma non dice dove sia finito: «Sì, me lo raccontò mio padre… Ma poi era una polemica tra me e mia sorella, perché io l’indomani invece sono andato alla manifestazione di Fassino». Adesso, invece, dopo la decisione di collaborare con i pm, sarebbe stato più preciso.
Ma non basta. Perché Ingroia e Di Matteo, dopo aver scoperto per caso la lettera nell’archivio della procura, hanno anche acquisito agli atti della nuova indagine il cosiddetto rapporto Gran Oriente, redatto sulla base delle confidenze ( spesso registrate) del boss mafiso Lugi Ilardo, all’allora colonnello dei carabinieri, Michele Riccio. Ilardo è stato ucciso in circostanze misteriose alla vigilia dell’inizio della sua collaborazione ufficiale con la giustizia.
Ma già nel febbraio del ‘94 aveveva confidato all’investigatore come Cosa Nostra, per le elezioni di marzo, avesse deciso di appoggiare il neonato movimento di Berlusconi. Un fatto di cui hanno poi parlato dozzine di pentiti e storicamente accertato in varie sentenze. Ilardo il 24 febbraio aveva spiegato a Riccio come qualche settimana prima «i palermitani» avessero indetto una «riunione ristretta» a Caltanissetta con alcuni capofamiglia del nisseno e del catanese. Nell’incontro «era stato deciso che tutti gli appartenenti alle varie organizzazioni mafiose del territorio nazionale avrebbero dovuto votare “Forza Italia”.
In seguito ogni famiglia avrebbe ricevuto le indicazioni del candidato su cui sarebbero dovuti confluire i voti di preferenza… (inoltre) i vertici “palermitani” avevano stabilito un contatto con un esponente insospettabile di alto livello appartenente all’entourage di Berlusconi. Questi, in cambio del loro appoggio, aveva garantito normative di legge a favore degli inquisiti appartenenti alle varie “famiglie mafiose” nonché future coperture per lo sviluppo dei loro interessi economici..». Una delle ipotesi, ma non la sola, è che si tratti dell’ideatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
La procura di Palermo, sospetta dunque, che la lettera ritrovata nell’archivio di Ciancimino si inserisca all’interno di questa presunta trattativa. Nel ‘94, infatti, Berlusconi governò per soli sette mesi e anche le norme contenute all’interno del cosiddetto decreto salvaladri di luglio, approvato per consentire a molti dei protagonisti di tangentopoli di uscire di galera, che avrebbero in teoria potuto favorire i boss, alla fine non vennero immediatamente ratificate. Da qui, è la pista seguita dagli investigatori, le apparenti minacce al Cavaliere («il luttuoso evento»), la richiesta della messa a disposizione di una rete televisiva e i successivi sviluppi politici che portarono all’approvazione di leggi certamente gradite anche alla mafia, ma spesso approvate con il consenso bipartisan del centro-sinistra.
mercoledì 8 luglio 2009
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