giovedì 11 giugno 2009

Coerenza

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Intercettazioni: Berlusconi, pene per editori non giornalisti

Roma, 21 gen. (Adnkronos) - ''Vorrei assicurare che non ci saranno pene per giornalisti, ma per gli editori se permetteranno la pubblicazione delle intercettazioni''. Lo ha assicurato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi parlando della riforma giudiziaria, a cominciare dal nodo delle intercettazioni.

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Ddl Alfano, oggi l'approvazione alla camera: requiem per il diritto di cronaca

Passerà oggi a Montecitorio – visto che il governo ha posto la fiducia e ha tutti i numeri per ottenerla - il disegno di legge che porta il nome del ministro della Giustizia e che pone significative restrizioni all'uso delle intercettazioni telefoniche nell'attività di indagine e alla loro pubblicazione, introducendo pesanti pene per i giornalisti e multe salatissime per gli editori. Giornalisti pronti a continuare la mobilitazione, dopo le manifestazioni organizzate ieri a Roma, e una sentenza della Corte di Giustizia europea sembra dar loro ragione. Le opposizioni scrivono a Napolitano per contestare il ricorso alla fiducia.

Sarà approvato oggi alla Camera dei deputati il disegno di legge Alfano, che pone seri limiti all'utilizzo delle intercettazioni nell'attività di indagine (potranno essere richieste solo se già sussistono “gravi indizi di colpevolezza” e solo per i reati che prevedano pene superiori a 5 anni di carcere) e alla loro divulgazione a mezzo stampa. Il testo introduce il divieto di pubblicazione, anche parziale, delle intercettazioni, anche se non più coperte da segreto, fino alla fine delle indagini preliminari, prevedendo, per i giornalisti, il carcere da sei mesi a un anno (pena che potrà essere trasformata in una sanzione pecuniaria) e la sospensione per tre mesi dall'ordine dei giornalisti. Per gli editori, sono previste invece multe salatissime, fino a 465 mila euro. Quali saranno le conseguenze lo spiega Giuseppe D'Avanzo in un editoriale sul quotidiano La Repubblica: «Addio al giornalismo come servizio al lettore e all'opinione pubblica. Addio alle cronache che consentono di osservare da vicino come funzionano i poteri, lo Stato, i controlli, le autorità, la società».
E fa un esempio concreto: «Si potrà dire che si indaga su una clinica privata abitata da medici ossessionati dal denaro che operano i pazienti anche se non è necessario. Non si potrà dire qual è quell'inferno dei vivi e quanti e quali pasticci hanno organizzato accordandosi al telefono. Lo si potrà fare soltanto a udienza preliminare conclusa (forse). Con i tempi attuali della giustizia italiana dopo quattro o sei anni. In alcuni patologici casi, dopo dieci».

Il Partito Democratico, dopo la bocciatura della sua proposta di abrogare il lodo Alfano, che blocca i processi per le prime quattro cariche dello stato, insinua che dietro l'ok della Lega Nord alla fiducia sulle intercettazioni ci sia una sorta di patto di scambio siglato tra Bossi e Berlusconi, che ricompenserà il Carroccio negando il sostegno al Referendum sulla legge elettorale in programma il prossimo 21 giugno. Sull'ennesimo ricorso alla fiducia da parte del governo Berlusconi, le opposizioni hanno inviato una lettera congiunta al presidente Napolitano che rimarca come ancora una volta sia stato scavalcato il Parlamento per la necessità del premier di tenere sotto controllo la sua maggioranza. Critiche al governo anche sul merito del provvedimento, che «pregiudica il contrasto alla criminalità e compromette il ruolo della libera stampa». Le opposizioni, quindi, auspicano un intervento, nei modi e nelle forme che riterrà opportune, da parte del Presidente della Repubblica.
Critiche anche dall'Associazione Nazionale Magistrati, che parla di «errori tecnici» all'interno del provvedimento e di un «gravissimo colpo alle attività di indagine».

Intanto prosegue la mobilitazione dei giornalisti, che già ieri erano scesi in piazza contro un provvedimento che giudicano lesivo della libertà di stampa e del diritto dei cittadini a essere informati. Un diritto garantito anche dalla legislazione comunitaria, come dimostra una sentenza del 2007 della Corte di Strasburgo, riferita a un caso accaduto in Francia: i magistrati comunitari hanno dato ragione a due giornalisti francesi che avevano, ricorda Franco Abruzzo, «pubblicato un libro sul sistema di intercettazioni illegali attuato durante la Presidenza Mitterand. Nel libro figuravano stralci di interrogatori e brogliacci sulle intercettazioni. Sulle esigenze del segreto istruttorio prevale in sostanza il diritto di informare, soprattutto quando si tratta di fatti eclatanti e notori. Conta che i giornalisti agiscano nel rispetto delle regole deontologiche della professione, fornendo notizie ancorate al principio della verità sostanziale. Le sentenze della Corte di Strasburgo sono vincolati per gli Stati membri della Ue e,quindi, anche per l’Italia. Il Ddl “Alfano” è in netto contrasto in molti punti con la sentenza Dupuis. I giornalisti italiani, eventualmente condannati in base al Ddl “Alfano”, potranno trovare a Strasburgo un giudice comprensivo delle loro ragioni. Si prefigura una lunga battaglia europea».
Ulteriori dubbi sulla legittimità del provvedimento sorgono in relazione a un “parere pro veritate” redatto per conto della Fieg (Federaziona Italiana Editori Giornali) da due illustri giuristi (Enzo Cheli e Carlo Federico Grosso): «Il diritto all’informazione - hanno scritto - trova il suo supporto, oltre che nell’articolo 21 della Costituzione, anche in uno dei caratteri fondamentali della funzione giurisdizionale (la pubblicità dei giudizi) desumibile sia dall’articolo 101 della Costituzione, sia dai principi del giusto processo. E se è vero, sempre alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale – che la pubblicità dei giudizi (e, conseguentemente, il diritto all’informazione relativo agli stessi) può incontrare limiti nella presenza di contrapposti interessi di rilevanza costituzionale (quali quelli connessi alla tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza, del buon costume, della presunzione di innocenza, etc.) è anche vero che gli stessi devono essere in ogni caso individuati in termini non generici, e definiti in forme ragionevoli e proporzionate, così da non paralizzare o rendere particolarmente difficoltoso l’esercizio di quell’informazione sulle vicende del processo che si realizza attraverso il diritto di cronaca».

10-06-2009

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