giovedì 18 giugno 2009

Lettera da Theran

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Cari tutti,

da più di una settimana Teheran è in ebollizione e i sostenitori di Moussavi hanno organizzato grandi raduni in ogni parte della città, cordoni di persone vestite di verde lungo la Vali-e Asr (circa 20 km di strada), hanno distribuito volantini e inventato slogan davvero divertenti contro il Presidente in carica.

Il clima era splendido, al bar non si parlava d'altro, in taxi non si poteva entrare senza prima essersi preparati un discorso convincente, le edicole erano prese d'assalto da avidi lettori e la partecipazione sembrava veramente dovesse dare lezioni di democrazia a un occidente raramente così entusiasta delle proprie istituzioni.

Due giorni prima delle elezioni un'enorme manifestazione pacifica di studenti colorati, guidata dall'Università di Teheran ha occupato le strade, bloccando completamente le grandi arterie della città. Quella notte non sono nemmeno riuscita a tornare a casa e sono stata ospitata da amici di amici irano-francesi dopo una camminata notturna di circa 15 km.

Poi le elezioni.

Con il Primo Segretario X, un'amica e un giornalista italiano, siamo andati a visitare alcuni seggi e le code erano impressionanti, qualcuno ha aspettato più di 3 ore per votare. Le strade delle scuole e delle moschee, diventate seggi elettorali, erano affollate da una varietà incredibile di tipi umani: la donna col chador nero fino ai piedi ma con un piccolo braccialettino verde smeraldo legato al polso, il mullah dallo sguardo sfuggente, gli studenti eccitati e le ragazze perfettamente truccate per il gran giorno. Ci sono cose che una donna non può fare senza rossetto, si diceva in un film.

L'attesa serale tutti intorno alla televisione ad aspettare la chiusura dei seggi. Poi salta la luce per un'ora e mezza, i telefoni si rifiutano di inviare gli sms. Ho aspettato sveglia i risultati parziali e i commenti che la mia amica metteva in tempo reale su internet, dalla sede di un famoso giornale riformista.

I risultati hanno preso tutti di sorpresa ma la mattina regnava una tesa tranquillità. Tanto che io, l'idiota, ho deciso di fare una passeggiata e poi scendere a sud per fare un po' di shopping e annegare lo sconforto e la delusione del ben più sano consumismo.

Y, un amico francese, mi ha chiamato verso le sei, non poteva tornare a casa, la polizia aveva bloccato il suo quartiere e all'Ambasciata francese si parlava dell'arrivo di 250.000 uomini dei corpi speciali verso Teheran. I corpi speciali sono vestiti di nero. L'intera uniforme, con coprispalle e elmetto integrale, ricorda ironicamente il cattivo di Star wars.

Y mi ha detto di andarmene da lì ma io avevo appuntamento con Q, l'altro stagista dell'ambasciata e sono andata lo stesso. Siamo andati insieme verso la stazione dei taxi per tornare a casa ma tra noi e la stazione si preparava la guerra civile. La guerra vera. Di fronte all'Università di Teheran i cori "morte al dittatore" riempivano l'aria, qualche centinaio di studenti agitavano cartelli mentre almeno una cinquantina di uomini dei corpi speciali si erano schierati intorno all'entrata principale della facoltà, famosa per la dura repressione del '99. Ci siamo avvicinati un po', la massa di manifestanti era sempre più numerosa e prima che ci rendessimo conto di cosa stava succedendo la prima carica della polizia ci ha letteralmente travolto. I fumogeni hanno oscurato l'aria tra le prime gocce di pioggia e ci siamo trovati tra centinaia di persone in corsa.

Q mi ha preso il braccio e mi sono trovata contro il muro mentre davanti a me tutti correvano, alcuni studenti erano trascinati via dalla polizia segreta che fino a quel momento sembrava un gruppetto di semplici passanti in borghese.

Uno studente era appena morto in Fatemi street, la parallela di Enqelab Road, la Via della Rivoluzione, dove mi trovavo io.

Tre cariche dopo la polizia ci aveva spinto fino ad una piazza immensa dove molti ragazzi col volto coperto da stoffa verde, per difendersi dal gas, bruciavano cassonetti della spazzatura bloccando completamente la strada. Poi sono arrivati anche i soldati neri in motocicletta e hanno incomiciato a manganellare la gente a caso. Attimo di panico quando un soldato ci ha avvicinato con lo sguardo inquieto di chi non ha mai compreso la differenza tra spia e straniero. Dopo avergli rivolto un sorrisone da coppietta di turisti tedeschi siamo corsi dentro l'Università, il cui ingresso è normalmente proibito agli stranieri, da un'entrata laterale. I gruppi di studenti si spostavano da un'uscita all'altra come formiche ma trovavano un momento per sfilare il passmontagna e chiederci da dove venivamo per poi scusarsi educatamente del casino, come si trattasse del volume troppo alto di uno stereo.

Finalmente raggiungiamo il taxi ma l'autostrada, una delle tante che si intrecciano dentro i confini della città, è bloccata da migliaia di macchine che suonano il clacson, procedendo a passo d'uomo, per almeno dieci chilometri.

Parecchio tempo dopo arriviamo a fine corsa ma la piazza è bloccata dalle transenne dell'esercito, il taxi fa il giro largo e quando scendiamo ci ritroviamo nella stessa situazione in cui eravamo alla partenza. Cassonetti in fiamme, centinaia di persone che urlano, donne che rivolgono a Ahmadinejad insulti irripetibili. Piazza Tajrish non è diversa da Enqelab, a 20 km di distanza. Si presume che anche nella strada che le unisce, la più lunga del medioriente, la situazione non sia più calma. Al ritorno a casa veniamo a sapere che altre due persone sono morte, proprio a Tajrish, pochi metri da casa mia.

Questo è quanto, Q è rimasto da me al nord e oggi al risveglio di nuovo sembrava tutto tranquillo. Ho comprato il giornale, la notizia del giorno è che Russel Crowe ha deciso di girare Robin Hood diretto da Ridley Scott. A colazione un brasiliano ha raccontato di aver visto i corpi speciali, i "neri", picchiare un ragazzo con un bambino di pochi mesi in braccio. Un giornalista neozelandese diceva invece di aver visto i manifestanti caricare la polizia e di aver visto l'esercito dei Pasdaran negare aiuto ai basiji, volontari per la difesa della Rivoluzione islamica, che picchiavano i manifestanti. Forse qualcosa sta cambiando davvero e se anche solo una parte del corpo dei Pasdaran, braccio armato della Guida Suprema, si schierasse con il movimento di Moussavi, ci sarebbe davvero uno spiraglio per vedere l'altra faccia dell'Iran.

Se questi movimenti di protesta avessero un leader e un'organizzazione potrebbe davvero cambiare tutto il sistema, o almeno spingere a nuove elezioni. Spero che qualcuno, non necessariamente in Iran, magari dietro una scrivania dall'altra parte del mondo, se ne stia occupando.

Ciao a tutti,

Libera

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